09/09/2010
Un momento dello sgombero del cavalcavia della Tangenziale Est.
Alle 7 di mattina di martedì 7 settembre, polizia e carabinieri hanno sgomberato la baraccopoli dell’area ex Innocenti di via Rubattino, nella zona Est di Milano. Qui vivevano circa 200 rom rumeni in tende e piccole baracche; il 13 settembre, 29 bambini avrebbero ripreso a frequentare le scuole del quartiere. Accanto alla povertà materiale, descritta chiaramente dalla speranza di vita di 45-50 anni per chi nasce nei campi, la precarietà è la difficoltà maggiore nei campi abusivi: ogni giorno ci si addormenta chiedendosi se al mattino successivo arriveranno le ruspe. L’ex Innocenti è una delle tante fabbriche abbandonate della periferia nord-ovest di Milano: nel 1996, nell’ambito del Piano di Riqualificazione Urbana (PRU Rubattino), il Comune ne ha approvata la ristrutturazione, finora mai eseguita. Così l’area è diventata uno dei luoghi delle periferie milanesi ciclicamente sgomberati e rioccupati: nella sola via Rubattino, 14 sgomberi in due anni.
Lo sgombero era stato ripetutamente annunciato. Le famiglie, che in alcuni casi hanno subito fino a nove sgomberi in dieci mesi, hanno scelto cosa salvare dei propri beni e, dopo mezz’ora, è iniziata la demolizione delle baracche. Solo per donne e minori i servizi sociali hanno offerto l’accoglienza nei dormitori per alcuni giorni; in 25 hanno accettato, ma la maggior parte ha preferito non perdere, in un momento così difficile, l’unità della famiglia. Per proteggersi dalla pioggia, i rom si sono rifugiati sotto i piloni della vicina tangenziale, da cui sono stati poi allontanati nel primo pomeriggio. Le forze dell'ordine, che hanno pattugliato il quartiere fino al giorno successivo, ha seguito i rom, allontanandoli ripetutamente per evitare che rimanessero nella zona. Molte famiglie hanno passato la notte all’addiaccio, nelle piazze e sulle panchine di Milano.
Presto si sposteranno e creeranno nuovi insediamenti precari. Proprio per questo, la Comunità di Sant’Egidio, che insieme ai Padri Somaschi-Segnavia segue da anni queste famiglie, ricorda: “Gli sgomberi, pur costando molto denaro pubblico, non servono a smantellare veramente i campi rom. Solo investendo seriamente nell’inserimento lavorativo e abitativo di questi nuclei è possibile superare la presenza di baraccopoli”. La sgombero del 7 settembre vede protagonista un’altra presenza importante. Nonostante la data non fosse sicura, già dalle 6 di mattina, varie decine di insegnanti, genitori dei compagni di classe e cittadini erano arrivati al campo; durante il resto della mattinata, molti altri milanesi arriveranno per offrire aiuto alle famiglie. Alcuni accompagneranno i rom negli spostamenti, altri porteranno cibo, coperte e tende alla sera. Una famiglia decide di ospitare il compagno di classe del figlio con i genitori e i fratelli; una maestra accompagna per la notte due famiglie presso la propria parrocchia.
Tutta questa mobilitazione dimostra come la scuola sia il primo luogo di integrazione per le famiglie rom. Sempre di più, negli ultimi mesi, tanti incontri personali hanno cambiato la percezione: i rom non sono più una categoria, ma “il compagno di classe di mio figlio”, “il mio alunno”, volti con un nome e storie, relazioni e sofferenze. Proprio per salvaguardare questi percorsi, il giorno successivo, durante l’inaugurazione dell’Anno Pastorale 2010-11 della Diocesi, l’Arcivescovo di Milano, Dionigi Tettamanzi, ha detto che ai bambini rom di via Rubattino “deve essere garantita la possibilità di cominciare regolarmente l’anno scolastico.” La sera dell’8 settembre, un gruppo di famiglie provenienti dall’ex Innocenti, tra cui un bambino di nove giorni, è stato nuovamente allontanato.
Daniel, un papà, chiedeva: “E ora come facciamo per la scuola di Marius?” La risposta si trova nel comunicato di Domenico Protti, presidente dell’Associazione Genitori della scuola di Marius: “Come nel novembre dell’anno scorso, come papà e mamme dei compagni di classe di questi bambini eravamo presenti allo sgombero. Con noi le maestre dei nostri figli. Qualcosa è cambiato: si è creata una rete di solidarietà, di affetto, di contatti che con le proprie sole forze è riuscita a dare qualche speranza a qualcuna di queste famiglie. Sarà difficile, ma sono convinto che qualcosa cambierà ancora. Le maestre cercheranno ancora i propri alunni e i nostri figli inviteranno i loro compagni di classe ad una festa.”
Stefano Pasta