08/05/2010
Le premesse sono tutte per un Giro d'Italia sciapo, con una sola città grossa, Verona l'ultimo giorno, fra i suoi traguardi e con corridori italiani dimessi, e alcuni anche dismessi seppure ancora pedalanti, con stranieri di seconda fascia ma in grado di prendersi la maglia rosa.
Si aggiunga che la partenza dall'Olanda sa di raccolta di denaro (la fa anche il Tour, da quelle parti) più che di missione sportiva e che il ritorno via aerea in Italia, con il giorno di riposo dopo tre giorni di corsa, sa di gita dopolavoristica più che di fatica da forzati della strada. Si consideri anche che l'antidoping, nel senso di mannaia, in Italia e in Francia ormai fatto sul serio, è non solo pronto a togliere di corsa i fessi che non mancano mai, ma a gettare comunque il dubbio su chiunque, tifosi compresi.
Insomma tutto si prospetta così male che, per poco che ci sia una corsa vivace, combattuta, magari con in italianotto che si riveli da classifica, i tifosi del ciclismo, che sono i più buoni e generosi e teneri e romantici bipedi del mondo, potranno anche entusiasmarsi, ubriacandosi di autarchia.
Naturalmente non sappiamo chi possa essere questo italianotto: Basso che ritorna dopo essere stato Grande Espiatore sembra avere perso la pedalata magica, Pellizzotti che poteva essere dinamitardo è stato fermato per anomalia del suo passaporto biologico, Nibali suo compagno di squadra chissà se è pronto all'impegno, Cunego e Garzelli si sono prenotati per qualche tappa, dicendo che seriamente non possono puntare al rosa finale. Poco per contrastare l'australiano Evans campione del mondo ma non ancora re di corse a tappe, il kazako Vinokourov rodatissimo, lo spagnolo Sastre che vinse il Tour del 2008 e dicono persino l'inglese Wiggins, quarto nel Tour 2009.
Per la statistica (dolente) ricordiamo gli italiani non vincono una classica dal 2008 (Cunego, il Lombardia) e una grande corsa a tappe dal 2007 (De Luca, il Giro).
a cura di Elisa Chiari e Gian Paolo Ormezzano