14/12/2011
Operaie straniere alla Luxottica.
Per anni ci siamo sentiti ripetere la favola che gli immigrati tolgono
lavoro ai nostri giovani, evidentemente ansiosi di fare i pizzaioli, la
badante o il muratore. Ho recuperato di recente uno studio Eurostat, l’ufficio statistico della Commissione
Europea, frutto di una ricerca realizzata a fine 2008, che mostra una realtà ben diversa.
Nell’Unione Europea a 27 Paesi, gli immigrati (cioè le persone
nate in Paesi esterni alla Ue) formano ormai il 9,4% della popolazione. E
la loro situazione socio-economica è ben lungi dall’essere paragonabile
a quella degli europei di nascita. Per il 34% dei casi, gli
stranieri di età compresa tra i 25 e i 54 anni che vivono e lavorano in
Europa hanno titoli di studio e qualificazioni assai superiori a quelli
richiesti dal lavoro che in effetti svolgono. Lo stesso dato tra gli
europei si ferma al 19%. Andando a vedere Paese per Paese, lo stesso
dato risulta particolarmente clamoroso in Grecia (stranieri
super-qualificati nel 66% dei casi contro il 18% dei greci),
Italia (50% contro 13%), Spagna (58% contro 31%), Cipro (53%
contro 27%), Estonia (47% contro 22%) e Svezia (31% contro 11%).
Ma non basta. Solo in due Paesi dell’Europa a 27, cioè in
Grecia e in Ungheria, il tasso di disoccupazione degli stranieri (sempre
tra i 25 e i 54 anni) è più o meno simile a quello dei nativi.
Molto netta la differenza, invece, in Belgio (immigrati disoccupati al
14% contro il 5% dei belgi), Svezia (11% contro 3%), Finlandia (11%
contro 5%), Spagna (15% contro 9%), Francia (12% contro 6%) e Germania
(12% contro 6%).
Per finire: il 31% degli stranieri che vivono e lavorano in Europa è a
rischio di povertà o esclusione sociale, contro il 20% dei nativi.
Livelli di rischio molto più alti per gli stranieri soprattutto in
Belgio (36% contro 13%), Svezia (32% contro 10%), Grecia (43% contro
23%), Francia (34% contro 14%), Austria (32% contro 13%), Finlandia e
Danimarca (31% contro 13% in entrambi questi Paesi).
Fulvio Scaglione