01/03/2013
Militanti dell'Esercito indipendente Kachin.
E' l'ultimo conflitto rimasto aperto in Myanmar. Una guerra che ora, forse, potrebbe essere arrivata alle battute finali grazie all'accordo per iniziare un dialogo che porti alla pace. Da una parte c'è il governo centrale, quello dei generali che negli ultimi anni hanno indossato gli abiti civili per ottenere gli aiuti economici dell'Occidente. Dall'altra è schierato un esercito ribelle che da mezzo secolo combatte con mezzi scarsi per la propria indipendenza: si tratta dei circa 15mila soldati del Kia, il Kachin Indipendence Army. E' il braccio armato della Kachin Independence Organization, organizzazione creata nel 1961 per rappresentare quest'etnia in maggioranza cristiana (in una nazione prevalentemente buddista) concentrata a nord del territorio birmano, al confine con la Cina. A inizio febbraio, proprio con la mediazione del governo di Pechino, le due parti si sono incontrate nella città di Ruili, nella Cina meridionale. Qui il governo birmano e i rappresentanti dell'esercito dei Kachin avrebbero trovato un accordo che prevede di allentare le tensioni militari, aprire vie di comunicazione nel territorio abitato dai Kachin e dare il via ad un dialogo politico che porti ad un cessate il fuoco. Un ulteriore incontro tra le parti è stato fissato a fine febbraio. Ora bisognerà vedere se i combattimenti sul terreno diminuiranno realmente, e se le due parti rispetteranno gli accordi. Sono questi i presupposti fondamentali per raggiungere la fine di una guerra che prosegue da 50 anni nel generale silenzio internazionale. Un obiettivo non semplice da conseguire se si guarda a ciò che è successo negli ultimi mesi. All'inizio del 2013 l'esercito birmano, grazie ad una forza militare decisamente superiore a quella dei Kachin, ha conquistato diverse zone intorno alla città di Laiza, quartier generale del Kia. Le due parti avevano raggiunto l'accordo per un cessate il fuoco lo scorso mese, ma subito dopo l'annuncio i combattimenti sono ripresi. Il Kia teme che in queste condizioni una soluzione politica al conflitto significhi la resa totale alle proprie rivendicazioni di autonomia in un sistema federale. Per questo i membri dell'esercito dei ribelli non abbandonano le armi e continuano a nascondersi tra le montagne della zona. Il risultato è che con la ripresa dei combattimenti decine di migliaia di persone hanno ricominciato a fuggire da questo territorio ricco di materie prime e per questo al centro degli interessi economici delle grandi potenze mondiali, in particolare quelli della confinante Cina. Pietre preziose come la giada, oro, acqua e legname pregiato costituiscono le ricchezze della regione. Ma oltre ai beni materiali, sulla guerra del Kachin pesano gli interessi geopolitici delle grandi potenze. Washington è il più potente alleato della minoranza cristiana, che aiutò i soldati americani durante la seconda guerra mondiale a penetrare nel territorio birmano allora occupato dal Giappone, e che ora in caso di indipendenza potrebbero costituire una spina nel fianco della Repubblica popolare cinese, grande avversario degli Usa.
A gennaio, durante la prima visita del presidente Barack Obama in Myanmar, il leader birmano Thein Sein si impegnò per creare le “condizioni per una pace duratura con il Kia nel 2013”, ricordando di essere già riuscito a “firmare accordi per un cessate il fuoco con altri 10 gruppi armati in passato”, riferimento ai circa 50mila ribelli appartenenti alle varie etnie che costituiscono la Birmania. Finora i risultati promessi da Thein Sein non si sono visti. Troppo presto per tirare le somme, forse, vista la difficoltà di trovare una soluzione pacifica ad un conflitto che dura dal 1948, cioè da quando l'Impero britannico abbandonò la colonia allora nota con il nome di Birmania, un paese al cui interno vivevano decine di gruppi etnici diversi per lingua, religione e tradizioni.
A pagare il prezzo di questa guerra sono sempre i civili Kachin: gli ultimi bombardamenti di metà gennaio su Laiza hanno causato la morte di tre persone e il ferimento di altre sei, tra cui due bambine di due e otto anni. Una situazione che sta iniziando a pesare anche sulla popolarità di Aung San Suu Ky. La Nobel per la Pace è accusata da alcuni di essersi limitata ad un auspicio di pace. Senza aver proposto una soluzione concreta, né aver fatto pressione sul governo birmano per fermare i bombardamenti.
Stefano Vergine