06/12/2012
Gli oppositori del presidente Morsi in protesta al Cairo (Reuters).
Da Il Cairo
Mucchi di pietre ovunque, bossoli e bottiglie molotov esplose, barricate di cemento e filo spinato. Baghdad street è il teatro di una guerra, all'indomani dei cruenti scontri tra i sostenitori e gli oppositori del presidente Mohammed Morsi, che hanno provocato almeno 5 morti e oltre 300 feriti. La battaglia è durata un'intera notte, sotto il palazzo presidenziale di Ittahandiya, nel quartiere cairota di Heliopolis. E si teme che non sia ancora conclusa. «Ci eravamo accampati qui per chiedere a Morsi una Costituzione equa e democratica», racconta Ahmed Harb, uno dei migliaia di manifestanti che martedì hanno marciato verso la dimora istituzionale del capo di Stato, costringendolo ad abbandonarla, sotto la scorta della Guardia repubblicana. «Fratelli musulmani e salafiti sono arrivati all’improvviso», dice, «hanno cominciato a strappare le tende e a malmenarci. Poco dopo è iniziato il combattimento».
«Hanno sparato con armi da fuoco di grosso calibro», testimonia Mohammed Ali Saied, uno degli improvvisati infermieri, con le mani ancora imbrattate di sangue. Quando è caduta la prima vittima, la giovane Mirna Emad, lui le era a meno di due passi. «Ho visto ferite orrende provocate da fucili a pallettoni o qualcosa di simile. Non finirà qui». La protesta inizia nel pomeriggio di martedì, quando il corteo del Fronte di salvezza nazionale, che riunisce diciotto movimenti liberali e progressisti, giunge sotto il palazzo che per trent'anni ha ospitato Hosni Mubarak. Decine di migliaia di persone circondano l'edificio. Chiedono a Morsi di ritirare la dichiarazione costituzionale con cui ha esteso i suoi poteri e di congelare il referendum costituzionale del prossimo 15 dicembre. Gridano slogan che ricordano quelli del 25 gennaio 2011: "Il popolo chiede la caduta del regime", "Morsi vattene", "Noi rimaniamo qui, sarai tu ad andartene".
E così accade. La polizia cerca di disperdere il corteo lanciando alcune granate di gas lacrimogeno. Ma la folla rompe il cordone e costringe gli agenti a ritirarsi. Il presidente viene trasferito altrove, all'interno di un mezzo blindato. La situazione precipita ventiquattro ore dopo, quando i sostenitori di Morsi decidono di mettere in scena una contro-manifestazione che, ben presto, si trasforma in una carneficina. «Il punto di non ritorno è stato varcato», dice Ibrahim Ashraf, ventidue anni e una benda a cingergli il capo, «quella di stanotte era una guerra civile».
Gilberto Mastromatteo
a cura di Giulia Cerqueti