04/12/2011
Colazione al Cremlino per Vladimir Putin (a sinistra) e Dmitrij Medvedev.
Oggi si vota in Russia per il rinnovo del Parlamento. E
il 4 marzo si voterà per scegliere il nuovo Presidente, che sarà poi
quello vecchio: dopo l’intermezzo di Dmitrij Medvedev, al Cremlino tornerà Vladimir Putin, e forse Medvedev prenderà il suo posto di premier.
D
icono i sondaggi che al Parlamento qualcosa potrebbe cambiare: Russia Unita, il partito pro-Putin e pro-Cremlino, potrebbe perdere una cinquantina dei 315 seggi (sui 450 totali)
che controlla alla Duma, la Camera bassa; il Partito comunista potrebbe
invece guadagnarne altrettanti e arrivare intorno al centinaio rispetto
ai 57 attuali. Certo, il partito di Putin perderebbe la maggioranza
assoluta che ora gli consente di decidere ciò che vuole quando vuole, ma
non v’è dubbio che qualche alleanza ben aggiustata porrebbe rimedio
all’impaccio.
Dando per scontato che Russia Unita continuerà a governare e
Putin a comandare dal Cremlino (e adesso per almeno altri 6 anni, visto
che la Costituzione è stata modificata per dargli un mandato più lungo),
il punto vero diventa un altro: quale politica si darà la Russia per i
prossimi anni?
Anche se “solo” primo ministro, in questi
quattro anni Putin non è rimasto a guardare. Ma i risultati migliori li
ha ottenuti nel suo campo preferito: la politica dell’energia, che per
la Russia è interna ed estera allo stesso tempo. Nel 2010 gas e petrolio (comprese le tasse raccolte per estrarli ed esportarli) hanno generato il 46% degli introiti dello Stato,
una quota che negli ultimi sei anni non è mai scesa sotto il 37%.
Putin
ha affrontato la crisi finanziaria globale blindando la posizione di
grande esportatore della Russia. Ha messo sotto tutela in vario modo Ucraina e Belorussia. Ha reso Gazprom partner fondamentale nei progetti North Stream (l’altro partner decisivo è la Germania) e South Stream (con l’Italia) per
il trasporto del gas e, manovrando la leva della questione nucleare, ha
stipulato accordi con l’Iran che consentono alla Russia di non essere
tagliata fuori del tutto dai traffici energetici del Golfo Persico. Ha gettato le basi per un accordo doganale tra Paesi ex sovietici che comprende anche il Kazakhstan,
altro grande estrattore ed esportatore di gas. Insomma, sta riuscendo
nell’impresa di trasformare la Russia nell’anello fondamentale della
catena che unisce i Paesi consumatori dell’Ovest (soprattutto l’Unione
Europea) e dell’Est (la Cina in primo luogo).
Una posizione di rendita quando tutto va bene, di grosso rischio quando l’economia è in crisi.
E’ stato calcolato che per tenere in equilibrio il bilancio dello Stato
russo, il prezzo del petrolio deve restare sopra i 115 dollari a
barile. In questi giorni le contrattazioni viaggiavano poco sopra i 100 dollari e le previsioni a un anno parlano di 115-120 dollari.
Affidare parte così importante del proprio destino economico a un solo
settore significa esporsi in modo poco protetto alle incognite
dell’economia globale.
Proprio ciò che è successo nel 2008, quando il
prezzo del greggio, arrivato a circa 150 dollari a barile in luglio,
scese nel giro di poche settimane a meno di 50 dollari. Risultato: a
fine 2009 il Pil russo era crollato dell’8%.
Fulvio Scaglione