Marchionne: tu, tu e tu, via!

Il Tribunale decide la riassunzione di 19 lavoratori, la Fiat ne mette in mobilità altrettanti. Tra politica "padronale" e politica industriale.

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01/11/2012
Gli impianti dello stabilimento Fiat di Pomigliano d'Arco (foto del servizio: Reuters).
Gli impianti dello stabilimento Fiat di Pomigliano d'Arco (foto del servizio: Reuters).

Accompagnata dall'offensiva mediatica dei giornali "amici" dell'azienda, arriva la decisione Fiat di avviare la procedura di mobilità per 19 lavoratori di Fabbrica Italia Pomigliano: tanti quanti sono gli operai che lo stabilimento deve riassumere in seguito alla sconfitta nella causa intentata dalla Fiom (Federazione italiana operai metalmeccanici) e dai lavoratori per "discriminazione" dopo aver constatato che, dei 2.150 dipendenti riassunti dalla newco nata dopo il referendum sul contratto, nessuno aveva la tessera del sindacato Cgil.


Com'è chiaro, siamo ormai molto oltre il confronto, e magari il conflitto, tra sindacati e azienda. Qui siamo alla ribellione della Fiat di fronte alla legge. Vogliamo chiamarla rappresaglia? Se il Tribunale decide in un modo che non mi piace, caccio qualcuno, gli tolgo il lavoro. Se Marchionne provasse a fare una cosa simile negli Usa che tanto adora, il sistema giudiziario e i sindacati, insieme, gli toglierebbero la pelle. Nell'Italia che tanto critica, può permettersi di farlo.

Vale inoltre la pena di sottolineare un aspetto. I 19 operai che hanno vinto la causa e dovranno essere riassunti a spese di altri 19, si erano rivolti al Tribunale a titolo individuale, non in nome e per conto del sindacato. L'ira funesta di Marchionne, quindi, si scarica comunque non su un'organizzazione o un gruppo ma su 19 famiglie. Al posto degli Agnelli-Elkann, ci faremmo qualche domanda sull'opportunità di un atteggiamento così "padronale", anche in termini di pubblicità e di marketing sociale.




Sergio Marchionne, amministratore delegato Fiat.
Sergio Marchionne, amministratore delegato Fiat.

Detto questo, va dato atto a Marchionne di aver ragione su un punto: la politica industriale del Governo è troppo pallida. Non c'è un euro da spendere per aiutare l'industria dell'auto, che in pochi anni ha visto quasi dimezzarsi il mercato, d'accordo. Sarebbe forse da discutere l'opportunità di finanziare un'azienda come la Fiat che tiene il Paese e la politica sotto la spada di Damocle della chiusura in Italia e del totale trasferimento all'estero. Ma in termini di agevolazioni fiscali e di semplificazione burocratica molto si potrebbe fare per dare una mano alle aziende, Fiat inclusa, che hanno bisogno di esportare il più possibile per reggere alla concorrenza.

Si lavori in questo senso, visto che tra l'altro i contatti con il Governo e con Monti non mancano né a Marchionne né alla famiglia Agnelli, invece di prendersela con 19 famiglie. E per favore, giornalisti amici della Fiat, basta con il ritornello su su quanto convenga all'azienda operare in Brasile, Serbia, Polonia... Nè l'Italia né l'Europa sono come quei Paesi, e se lo diventassero sarebbe un dramma immenso per tutti. Rassegnatevi. E pensate che proprio per questo, in un passato nemmeno troppo lontano, i nostri Governi hanno potuto soccorrere in vari modi la Fiat quando ce n'era bisogno.

Fulvio Scaglione

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