23/12/2011
Soldati americani alla partenza dall'Iraq.
Il 21 ottobre Barack Obama aveva annunciato il completo ritiro
di tutte le truppe Usa dall’Iraq entro la fine dell’anno, e sta
mantenendo la parola. Gli ultimi 39 mila soldati americani (il massimo
della forza era stato raggiunto nel 2008, con 165 mila uomini) tornano a
casa, lasciando gli iracheni, almeno quelli al governo, non si sa
quanto felici di vederli partire.
Il ritiro americano è totale anche perché è fallita l’ultima
trattativa: il Governo iracheno chiedeva che restassero almeno 5 mila
soldati in qualità di istruttori, sottoposti però alle leggi nazionali. In
poche parole, non liberi di sparare a piacimento sui civili iracheni.
Leon Panetta, all’epoca ancora ministro della Difesa (ora è capo della
Cia), aveva seccamente risposto: “Noi proteggiamo i nostri soldati e
chiediamo per loro l’appropriata immunità”. Fine della trattativa.
Nata tra le menzogne di George Bush e dei suoi uomini, la guerra
in Iraq è tuttora un tabù intellettuale. Troppo freschi i
ricordi per non far degenerare ogni dibattito in uno scontro ideologico.
Ma non solo. Accompagnata da una gigantesca e ben organizzata campagna
di disinformazione, la guerra è stata amputata anche di una corretta
informazione. Il Dipartimento della Difesa Usa denuncia 4.408
soldati uccisi e 32.195 feriti. Gli inglesi hanno perso 179
uomini. Secondo le statistiche elaborate dalla Brookings Institution su dati forniti dal Governo Usa, sono circa 10 mila i soldati e
poliziotti iracheni caduti negli scontri con la guerriglia.
Possiamo crederci? E’ tanto o è poco? Personalmente sono piuttosto
scettico, per quel che ho visto nei viaggi in Iraq e per quanto ho
potuto studiare, sulla cifra dei civili morti di morte violenta.
La Brookings parla di 82 mila circa, il ministero della Sanità
dell’Iraq di 100 mila circa. Ma è una valutazione offerta già anni fa e
nel frattempo gli iracheni hanno continuato a cadere nelgi attentati:
quasi 1.800 solo quest’anno. E va ricordato che l’amministrazione Bush
aveva espressamente vietato di tenere e pubblicare statistiche sulla
sorte dei civili iracheni.
Bisognerebbe poi capire quali danni e quali vantaggi abbia
eventualmente portato all’Iraq questa guerra. Via Saddam Hussein,
d’accordo. Ma forse si poteva farlo in altro modo. Un sondaggio condotto
in Iraq nel giugno di quest’anno (dall’International Repubblican Institute) ha raccolto i
seguenti risultati:
- Il Paese va nella direzione giusta o sbagliata?
Giusta 38% Sbagliata 52%
– Descrivereste la situazione economica
come buona o cattiva? Buona 48% Cattiva 49%
– Nell’ultimo anno si è avuta più o meno sicurezza?
Più sicurezza 59% Meno sicurezza 22%
Meno ristrettezze, più sicurezza ma si va nella direzione
sbagliata. A quanto pare anche gli iracheni hanno qualche difficoltà a
giudicare. E’ possibile che questo dipenda da fattori che a
noi, da lontano, riesce difficile valutare in modo corretto. Per
esempio: molti più ragazzi iracheni vanno a scuola, dal 2002 (prima
della guerra) al 2005 sono cresciuti del 5,7% (da 3,5 a 3,7 milioni) gli
iscritti alle scuole elementari e del 27% (da 1,1 a 1,4 milioni) gli
iscritti alle medie e superiori.
Ma i medici iracheni prima della guerra erano 34 mila e alla
fine del 2008 erano solo 16 mila. Più di 20 mila medici hanno
lasciato l’Iraq e solo poco più di 1.500 sono in seguito tornati. Più di
2 mila medici sono stati uccisi e 250 rapiti. E’ meglio avere il figlio
che va a scuola o il medico che ti cura? O è meglio avere il telefono? C’erano
833 mila abbonati al telefono in Iraq prima della guerra, oggi ci sono
quasi 20 milioni di cellulari (su 31,5 milioni di abitanti) e 1
milione e 300 mila telefoni fissi. O le fognature, che all’inizio del
2008 raggiungevano l’8% della popolazione, un anno dopo il 20% e ai
primi del 2011 il 26%?
L’Iraq, che nel 2011 ha incassato 37 miliardi di dollari con
l’esportazione del petrolio, secondo Transparency International è 175° (su 183 Paesi esaminati) nella graduatoria del
corretto e onesto governo della cosa pubblica. Per dare un’idea: l’Irak
di Saddam era 113% su 133, quindi un po’ meglio in graduatoria di quelli
di adesso.
Fulvio Scaglione