22/11/2012
Il primo ministro Hamadi Jebali alla Fiera del libro di Tunisi (foto del servizio: Reuters).
Dal tassista alla direttrice dell’Association tunisienne des femmes démocratiques (ATFD), dalla presidente di Amnesty International Tunisia al giovane disoccupato, tutti sfoderano il più smagliante dei sorrisi quando gli nomini il 14 gennaio 2011. Se dici 23 ottobre 2011, però, cambiano decisamente umore. A poco più di un anno dalle elezioni della Assemblea Nazionale Costituente - l’organismo che avrebbe dovuto redigere la Costituzione e indire nuove elezioni per la formazione di un Parlamento - in Tunisia, nuvole sempre più oscure si addensano all’orizzonte.
“Credevamo di poterci finalmente riposare", dice Sondéss Garbouy, la presidente di Amnesty International Tunisia, oberata di lavoro nell’era del dittatore Ben Ali, "ma registriamo continui attacchi ai diritti degli individui”. Liberatisi di Ben Ali e dato il via al processo elettorale, i tunisini si sono trovati ad affrontare le prime elezioni post-dittatoriali con entusiasmo. Negli otto mesi scarsi che hanno separato la cacciata del dittatore dalla tornata elettorale, però, un soggetto politico del tutto estraneo alla Rivoluzione dei Gelsomini ha realizzato un processo capillare di penetrazione sociale.
Ennhada, il partito di ispirazione islamica che ha ottenuto la maggioranza dei voti, è riuscito a convincere centinaia di migliaia di cittadini con una campagna degna delle migliori strategie politiche. “La sua leadership", spiega Andrea Amato, presidente dell'Istituto per il Mediterraneo, "arriva in gran parte dall’Europa, da un contesto di radicalizzazione della propria fede religiosa in opposizione all’Occidente. In questi mesi, poi, molti giovani stanno tornando in Tunisia per prendere parte al processo di islamizzazione del Paese”.
Infilatasi nel vuoto di potere innescato dalla Primavera e sostenuta da poderose iniezioni di liquidità saudita, Ennhada ha iniziato opere sociali, distribuito fondi alle famiglie dei martiri della Rivoluzione, dato lavoro a giovani e conquistato alla causa migliaia di tunisini. L’ aura di purezza degli islamisti più radicali, poi, derivante da anni di durissima persecuzione bagnata nel sangue, ne ha fatto degli eroi della Nuova Tunisia. E ora, il Paese che fin dal 1956, con l’avvento di Habib Burghiba al potere, vantava una delle legislazioni più avanzate dell’area (suffragio universale, poligamia illegale, età minima e consenso per il matrimonio, divorzio al posto del ripudio), si trova a fare i conti con la reale possibilità di divenire uno Stato governato dalla Shari'a.
Scongiurata la possibilità che la Costituzione ospitasse il concetto di complementarità e non di uguaglianza dei sessi grazie a imponenti manifestazioni, nel dibattito politico irrompe l’istanza del principale partito al Governo che punta a inserire nell’Articolo 1 il concetto di “Stato Islamico” al posto di “nazione a maggioranza musulmana”. Se prima una donna veniva fermata perché indossava il velo, ora avviene esattamente il contrario.
Ma sono proprio loro, le donne, a rappresentare probabilmente il motivo maggiore di speranza. Nell’Assemblea Nazionale Costituente ne siedono una sessantina, il 26%, e molti ripongono nelle loro capacità di dialogo, le attese di un futuro pacifico e democratico. “Le rappresentanti di vari partiti, ONG, del mondo del sindacato e dell’imprenditoria, incontrate assieme alle mie colleghe", dice Silvia Costa, a Tunisi come membro della delegazione ufficiale della Commissione Donna dell’Europarlamento, "mi hanno fatto un’impressione molto positiva. La volontà di superare ogni dissidio e trovare una composizione è evidente. La stessa Meherzia Labidi, di Ennhada, vice presidente dell’Assemblea, alle nostre preoccupazioni riguardo le proposte troppo confessionali del suo partito, ha risposto che alla fine prevarrà un senso comune”.
Il mix di laicità e ritorno alla tradizione, ben sintetizzato da tante donne che tirano il velo fuori dal cassetto ma che non pensano affatto a uno Stato teocratico, è una delle basi su cui costruire la nuova Tunisia. Ma il grosso problema di oggi è anche, e forse soprattutto, l’economia. Il 2011 ha fatto registrare il tasso di Pil più basso della storia post-coloniale, la disoccupazione è ormai al 20%, mentre il modello neo-liberista di Ennhada non sembra trovare molti consensi. “Ma non dite che stavamo meglio prima", sorride Souha Ben Othman del direttivo politico di Nida Tounes, principale partito di opposizione, "ora siamo liberi, la cosa più importante”.
Luca Attanasio