22/11/2012
Una manifestazione di militanti dell'opposizione.
“Il 14 gennaio 2011", spiega Nadia Hakimi, direttrice dell’Association tunisienne des femmes démocratiques (ATFD) nella centrale sede di Rue della Libertè, la voce rotta dalla commozione, "resterà sempre nel mio cuore. Vedere un popolo unito urlare davanti al ministero degli Interni “Ve ne dovete andare...libertà, giustizia...” è stata per me e per tanti un’emozione unica. Ma la gioia incontenibile di quel giorno dopo anni di oppressione, si sta trasformando in un triste ricordo”.
All’entusiasmo della piazza che, assieme al sacrificio dei martiri della Rivoluzione dei Gelsomini, ha incendiato un’intera nazione, ha fatto seguito in Tunisia un senso di totale disorientamento e generato l’impressione che si stia facendo - come recita un appropriato slogan di Amnesty International coniato proprio per l’attuale situazione tunisina - “un passo avanti e due indietro”.
“Per decenni", riprende la Hakimi, "abbiamo accolto nel nostro Centro di Ascolto le migliaia di donne che si rivolgevano a noi in cerca di giustizia e riscatto. I nostri attivisti, poi, hanno lavorato in tutto il Paese instancabilmente per mesi, assieme a volontari di partiti o di altre associazioni, in alcuni casi porta a porta, per convincere i concittadini a iscriversi alle liste. Siamo riuscite a ottenere una composizione di liste secondo cui a un candidato uomo seguiva obbligatoriamente uno donna. E per cosa? Per far prendere a Ennhada tutti quei voti? O per capire che gran parte di quei voti, provenivano proprio dalle donne? Mi creda, è stato un vero e proprio shock".
Per tre mesi", aggiunge la Hakimi, tradendo la sua ingenuità politica e quella di molti altri interlocutori nel Paese, "sono rimasta incredula”. Nessuno si sogna di criticare le scelte di fede di tanta parte della popolazione, né quelle che sono alla base di un successo elettorale in nome, in gran parte, dell’appartenenza all’Islam "puro". Gli islamisti e i salafiti hanno sempre opposto un rifiuto totale a qualsiasi forma di compromesso col regime precedente, e ora riscuotono i dividendi.
Ciò che preoccupa è il tentativo di fare di un Paese che non ha mai conosciuto radicalismo religioso e che, in quanto a diritti femminili, è il più emancipato dell’area, un califfato in cui regni la Shari'a. “Ennhada vuole introdurre nella Costituzione articoli che vanno contro i principi di democrazia; parlano di legge islamica, di condanne pesanti per ogni forma di attacco al sacro, di riduzione delle libertà di stampa. Si moltiplicano le aggressioni ai commercianti che vendono alcool mentre la sensazione è che le violenze salafite non siano mai condannate con la giusta fermezza”.
Ma c’è di più. Le inquietudini non riguardano solo l’attacco alla laicità dello Stato e i tentativi di islamizzare il Paese. Il rischio anarchia, complici anche gli allarmanti livelli dell’economia nazionale, è alle porte. “È passato più di un anno dalle elezioni", spiega Youad Ben Rejeb dell’esecutivo di ATFD, "ma non abbiamo ancora una nuova Costituzione. Rischiamo di arrivare alle prossime elezioni (giugno 2013, n.d.r) senza avere promulgato l’impianto di leggi più importante. Senza parlare della sicurezza dei cittadini. Ci sono scontri ogni giorno; a Tataouine, a fine ottobre, alcuni sostenitori della maggioranza e attivisti di NidaTunes si sono affrontati e il coordinatore del principale partito d’opposizione, Lotfi Naqdh, è morto”.
Le critiche sono anche per le strategie economiche giudicate in continuità col vecchio regime. “In un anno", dice ancora Yoaud, "la situazione economica della Tunisia è peggiorata, i giovani, laureati o delle fasce più povere, sono ormai accomunati da un futuro incerto”. E le speranze di restare nel proprio Paese e costruirsi un futuro, dopo le attese della Rivoluzione, tornano a essere frustrate.
Ma le donne non mollano. Stanno lavorando alla costituzione di una commissione trasversale di elette che lavori a proposte costituenti e disegni un futuro democratico per la Tunisia. “Se volete risolvere una questione impossibile", finalmente sorride Hakimi, "affidatela a noi”.
Luca Attanasio