20/05/2011
Milano, 19 maggio 2011. Il professor Michael Tsur, durante il suo intervento nell'Aula Pio XI dell'Università Cattolica del Sacro Cuore.
«Di solito, con la prima chiamata mi specificano anche il punto di ritrovo e il mezzo con cui raggiungerò il teatro dell'operazione, se in auto o in elicottero o in aereo». Michael Tsur sa meglio di tanti altri come si gestisce una crisi ed è un mediatore con i fiocchi. Per questo le forze di sicurezza e l'esercito israeliani si avvalgono della sua esperienza ogni qual volta si registra un atto violento, culminato con la cattura di ostaggi.
«Undici anni fa, ad esempio, fui svegliato alle due di notte. Nel novembre 2000, un ceceno aveva dirottato un aereo russo, decollato da Makhachkala, capoluogo del Daghestan, vicino al Mar Caspio, e diretto a Mosca. Il velivolo, per volere di chi l'aveva in pugno, atterrò in Israele. Il caso fu risolto in sette minuti, cinque dei quali impiegati ad aprire la porta del Tupolev. Come ho fatto? Gli ho chiesto con il massimo della gentilezza e del rispetto possibile: "Scusi, può uscire per favore dall'aereo?". L'uomo accettò, si arrese e agli ostaggi non fu torto un capello. La prima cosa, in una mediazione, è la terzietà assoluta, non parteggiare per l'uno o per l'altro. La seconda, è, appunto, il rispetto. Può essere il peggiore dei terroristi colui al quale sto parlando, ma in quel momento è un mio interlocutore con il quale mi rapporto con calma e buona educazione».
La Basilica della Natività, a Betlemme.
Qualche volta ci vuole più tempo. Posto che la bravura non manca mai, è la fortuna che talvolta si fa sospirare.
Michael Tsur, ad esempio, è stato del team che ha trattato la liberazione del giornalista del giornalista della Bbc Alan Johnston, rapito a Gaza nel marzo 2007 e rilasciato il 4 luglio dello stesso anno, dopo 114 giorni di prigionia.
Ed è stato in prima linea nel mediare durante i 39 lunghissimi giorni che tra il 2 aprile e il 10 maggio 2002 videro la Basilica della Natività di Betlemme assediata dai militari israeliani, con dentro, bloccati, i frati francescani e oltre cento palestinesi, molti dei quali militanti o membri dell'intelligence. «In realtà gli incontri che sbloccarono la situazione non furono tantissimi, ma 5 in tutto. Si sapeva che l'alternativa sarebbe stato un bagno di sangue sotto gli occhi attoniti del mondo». Erano i tempi infuocati di Jenin, dell' assedio alla Mukata (sede del quartiere generale dell'Autorità nazionale palestinese), della seconda Intifada, degli attacchi kamikaze contro civili israeliani e delle dure reazioni della Stella di Davide. In quell'occasione si sparò anche, a dire il vero. Una volta, i commando israeliani tentarono di entrare nottetempo, la reazione dei miliziani palestinesi fu sostenuta. Altre volte i cecchini dell'uno e dell'altro schieramento si scambiarono colpi mirati.
Agosto 2005. Un'immagine che racconta lo sgombero di 15 mila coloni ebrei allontanati da 23 insediamenti sorti nella Striscia di Gaza.
Paura? «C'è, è ovvio. Ma è sotto controllo. Una delle caratteristiche del mio mestiere consiste proprio nel mantenere, e infondere, la calma in contesti di per sé già molto tesi, emotivamente agitati. Dunque non sarei un buon professionista se perdessi il controllo di me stesso. Quando ti arruoli a 18 anni, sai come funziona un fucile, sai usarlo, conosci la differenza tra il rumore di un colpo in partenza e quello di un colpo in arrivo, beh, quando hai alle spalle tutto questo hai un buon bagaglio di conoscenze che ti aiutano a interpretare meglio la situazione di conflitto che stai vivendo, gestendo meglio timori e paure. Devo, però, precisare che cerco di non mettermi stoltamente in situazioni di pericolo estremo. Ho delle responsabilità: sono padre di quattro figlie».
C'è stato un caso, comunque, dove i sentimenti hanno rotto gli argini. «Sì, è stato quando il 15 agosto 2005 il Governo israeliana ha ordinato l'evacuazione di migliaia di coloni ebrei dalla Striscia di Gaza», ricorda Michael Tsur. «Mi sono trovato a operare in una situazione inedita, fatta di israeliani contro israeliani. S'è trattato di far spostare uomini, donne e bambini che molti israeliani, e tra essi anche molti poliziotti e soldati chiamati a eseguire quegli ordini, sentivano fratelli e sorelle. Una situazione non facile. Ho lavorato, lavorato tanto. E pianto. Sì, ho pianto». In quattro giorni, 15 mila coloni furono sgombrati da 23 insediamenti sorti nella Striscia di Gaza.
Alberto Chiara