Lance, e il doping abbatte il texano

Il corridore americano Lance Armstrong, vincitore di sette Tour de France, ha deciso di arrendersi e non difendersi più dalle accuse di doping. Sarà radiato a vita e perderà i titoli.

Lo sport è spettacolo, ma se è finto non ha senso

24/08/2012
Lance Armstrong durante una convention scientifica dedicata ai tumori a New York, nel 2010, quando era ancora in attività (Reuters).
Lance Armstrong durante una convention scientifica dedicata ai tumori a New York, nel 2010, quando era ancora in attività (Reuters).

Al di là delle carte che bisognerebbe sempre avere in mano per commentare sentenze, la notizia della radiazione di Lance Armstrong dal ciclismo ci regala almeno una certezza: lo sport sta affogando nella menzogna e non fa niente per ridarsi un minimo di credibilità. E’ l’ennesima tegola, dopo Schwazer, dopo le scommesse, dopo gli ex dopati ammessi all’Olimpiade di Londra, perché anche questo è accaduto: si sono ammorbidite, su ricorso degli americani, le regole che impedivano a chi avesse scontato una squalifica per doping di due anni di rientrare ai Giochi olimpici.

Lo spettacolo continua, anche se ogni giorno ci appare più taroccato, meno credibile, finto. Il guaio è che lo sport è uno spettacolo particolare: è bello solo se non si sa come va a finire e se dopo che è finito il suo risultato non viene raschiato via dagli annali. E invece succede sempre più spesso il contrario: il gioco, deviato a tavolino da combine e magheggi di farmacia, produce risultati meno incerti del normale, determinati da criteri diversi dalle capacità di chi si cimenta. E dopo un po’ arriva qualcuno a dirci che era tutto finto e tocca strappare dall’album la figurina con tutto l'armamentario di coppe e medaglie.

Eppure il mondo chiuso dello sport insiste a non squarciare il tendone del suo carrozzone omertoso. Alla fine gli isolati sono i pochi che non stanno zitti e, nella migliore delle ipotesi, vengono bollati come rompiscatole un po’ invidiosi. E quel che accade all’esterno è un alibi perfetto per non pulire: il ciclismo si difende dicendo che gli appassionati, armati di fiasco e pane e salame, continuano ad accalcarsi a centinaia di migliaia sul Mortirolo e sul Tourmalet e che in fondo lo si fa per loro. Il calcio conta sul sostegno dei tifosi per calpestare le sentenze (quando danno torto ai nostri) e per applaudirle (quando danno torto agli altri): unico criterio la convenienza. L’atletica a dispetto dei tanti sospettati trova sponsor faraonici per la Diamond League.

Forse tocca a noi, sportivi da poltrona, appassionati un po’ dabbene, affamare questo spettacolo farlocco, forse tocca a noi smettere di andare a sostenere chi ci vende patacche, abusando della nostra passione. Se proprio fa di tutto per suicidarsi, forse tocca a noi aiutarlo e staccare la spina a un gioco che così com’è non ha più niente da dirci. E dirgli una volta per tutte in faccia che il 12° uomo in campo si è scocciato e se ne va.

Del resto come credere ancora a uno sistema  che radia uno (troppo tardi dichiarando in qualche modo il proprio fallimento di potere di controllo) togliendogli sette Tour de France, dovendo far finta di non sapere che verosimilmente passeranno ad altri, molti dei quali già finiti a vario titolo nelle maglie del doping e poi riabilitati?

                                                                                                                  Elisa Chiari

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