21/04/2013
Le proteste prima del Gran Premio.
Il rombo dei motori della Formula Uno, a dispetto degli onesti imbarazzi di molti dei suoi protagonisti e dello sfacciato menefreghismo di Bernie Ecclestone, da due anni serve anche a soffocare la realtà di un Paese, il Bahrein, che dal giorno di San Valentino del 2011 è teatro di una feroce repressione di regime.
Quel giorno di due anni fa, nel pieno dell'ondata della cosiddetta Primavera araba, anche i cittadini del Bahrein scesero per le strade di Manama, capitale del regno e sede appunto del Gran Premio, per chiedere più democrazia e più spazio per i diritti civili. La risposta del re Hamad bin Isa al Khalifa fu di far intervenire prima l'esercito nazionale e poi addirittura quello dell'Arabia Saudita, con tanto di carri armati.
Fu l'inizio di una stagione clamorosa di violenze (almeno 130 morti e decine di prigionieri politici) che non ha ancora avuto termine, tra perquisizioni indiscriminate, arresti arbitrari e uno stillicidio di uccisioni di cui la stampa internazionale ha smesso di occuparsi.
Il regime del Bahrein può comportarsi come vuole perché gode della protezione della già citata Arabia Saudita, che alle spalle a sua volta ha gli Stati Uniti di Barack Obama (premio Nobel per la pace) e la Gran Bretagna. Si tratta di petrolio, naturalmente, ma soprattutto di fare argine all'Iran. In Bahrein, infatti, gli sciiti (il ramo dell'islam abbracciato dagli ayatollah di Teheran) sono circa il 70% della popolazione ma sono pesantemente discriminati da ogni punto di vista. Il timore di sauditi e americani è che dei problemi del re possa in qualche modo approfittare l'Iran, il nemico numero uno dell'Occidente. Così i cittadini del Bahrein devono sopportare l'autoritarismo del regime del Bahrein. Ma loro non si arrendono. Anche alla vigilia di questo Gran Premio circa 10 mila persone sono scese in piazza per protestare e per ricordare al mondo che anche loro esistono e non hanno smesso di sognare.
Fulvio Scaglione