Napoli: Tribunale 5, Moggi 0

Si conclude, a quattro anni dall'inizio delle udienze, il processo di primo grado per Calciopoli. Luciano Moggi condannato a 5 anni e 4 mesi.

Quattro anni per dargliene cinque

08/11/2011
Luciano Moggi (a sinistra) durante il processo.
Luciano Moggi (a sinistra) durante il processo.

Il tribunale di Napoli (stiamo parlando di giustizia ordinaria, quella che ha preso una decisione abbastanza straordinaria, nel senso che è andata contro il pronostico facilone della purtroppo classica chiusa italica “a tarallucci e vino”) ha condannato Luciano Moggi, ex direttore generale della Juventus, a 5 anni e 4 mesi, per associazione a delinquere atta a decidere fraudolentemente risultati sportivi. A scendere le pene per gli altri: citando i più noti, Pairetto e Bergamo designatori degli arbitri, Mazzini ai tempi di Calciopoli vicepresidente della Federcalcio, De Santis ex arbitro gravato da accuse meno forti.


     Ci sono voluti quattro anni e passa per arrivare a questo. Moggi aveva cercato, anche portando in aula interessanti registrazioni nuove, di far valere il “così fan tutti”, chiamando in ballo soprattutto l’Inter e la sua famigliarità con gli arbitri attraverso le parole intercettate del presidente Facchetti. La Corte ha ritenuto che ci fosse una grande differenza fra la distribuzione, da parte di Moggi, a designatori e forse anche arbitri di schede telefoniche svizzere, per sfuggire alle intercettazioni, e i colloqui amichevoli, “di routine”, fra un presidente e i designatori. L’impianto accusatorio in sostanza è stato confermato in pieno, il tribunale ha accolto in pratica le richieste del pubblico ministero.

     Le conseguenze immediate sono forse uno stop ai ricorsi presso la federcalcio di Moggi, Mazzini e Giraudo (fuori dal processo perché aveva accettato a suo tempo il rito abbreviato) contro la radiazione comminata loro dalla giustizia sportiva, e non anche uno stop, stando alle guerresche reazioni bianconere, dell’istanza della Juventus presso il tribunale supremo dello sport, contro l’iter dello scudetto 2006, tolto alla stessa Juventus e frettolosamente passato (“per scorrimento”, ha detto buffamente il presidente federale Abete) all’Inter seconda classificata.

     Abbiamo cercato di riassumere, e intanto di semplificare. Per chi scrive queste righe niente di sensazionale, mai ha creduto all’innocenza degli accusati, nonostante la loro difesa altamente tecnologica basata su nuove intercettazioni. Quanto all’Inter, effettivamente ha avuto uno scudetto che non le toccava, e grande gesto sportivo sarebbe stato il non accettarlo, ma la Juventus, che sempre ha parlato di 29 scudetti nel suo albo d’oro, alla faccia della Federcalcio che gliene ha tolti due, non può volerlo per sé in nome anche, se non soprattutto, del “regalo” eccessivo fatto all’Inter. 

     Non ci sono invece state, da parte bianconera, forti reazioni per lo scudetto del 2005, il 28esimo, tolto alla Juve ma non dato al Milan, secondo, perché anche il club rossonero, come anche Fiorentina e Lazio, aveva le sue brave colpe, penalizzate giustamente, nel vasto intrigo di Calciopoli. Nostro parere: la Juventus ha sbagliato di grosso, indirettamente tifando per Moggi, perché il “così fan tutti” è anche un’ammissione di colpa propria. E poi perché, dicendo di 29 scudetti anziché 27 o quantomeno 28, ha fatto capire di volere anche il titolo 2006. Avesse chiesto soltanto di toglierlo all’Inter, assumendosi intanto le colpe sue o meglio della sua direzione, avrebbe persino raccolto simpatie fuori dalla sua stessa tifoseria.

     Siamo, è vero, al primo grado di un giudizio che fra l’altro ha colpito o assolto anche tanti altri personaggi “minori”, nel senso di estranei all'accusa principale, quella di associazione a delinquere, cone Lotito presidente della Lazio e i fratelli Della Valle padroni della FioRentina. Ma secondo noi niente potrà sostanzialmente cambiare, pur se in appello arriveranno, pare, 171.000 altre registrazioni… Lo scudetto del 2005 resta giustamente senza padrone, lo scudetto del 2006 è un regalo di troppo all’Inter, nobile nel gesto di difendere un Facchetti che non c’è più, non nel fare festa per un titolo arrivato da un’assegnazione federale frettolosa e però ormai per la stessa Federazione prescritta, nel senso di quello che è stato è stato (fretta motivata, dice o cerca di dire la federcalcio, dal dover dare i nomi all’Uefa delle squadre ammesse alle coppe europee).

     Quello scudetto  non spetta all’Inter ma di certo non spetta alla Juventus. Se non si vuole cavillare troppo, o di contro aderire ad atti di prepotenza, ci si può fermare qui. Noi però vogliamo tirare in ballo anche certi signori importanti, i calciatori. Sul piano morale i più forti hanno reagito benissimo, vincendo sotto la guida di Lippi il Mondiale di quello stesso 2006. E l’Italia deve quel titolo a tanta Juventus. 

     Sul piano però pratico proprio non riusciamo ad essere solidali con chi dice che “lo scudetto è nostro perché, se pure ci sono state irregolarità, noi non ne abbiamo saputo nulla e lo abbiamo vinto lottando sul campo”. Credendo nella giustizia, e credendo dunque ad arbitraggi condizionati nei tempi di Calciopoli, ci chiediamo e chiediamo se un calciatore, per di più esperto, non si accorge, al terzo fischio dell’arbitro, che quel signore sta dalla parte sua. 

Gian Paolo Ormezzano e Elisa Chiari
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