15/11/2012
Amir arriva all’Ospedale Vakhidov di Tashkent, Uzbekistan, con la febbre molto alta. Con la sua famiglia ha dovuto viaggiare ore e ore prima di raggiungere la capitale uzbeka dal piccolo paese di campagna dove vive con i suoi genitori. Lì gli era stata diagnosticata da un medico di base una leggera infezione alle vie respiratorie, ma la realtà è tragicamente diversa: il bambino soffre di una grave malformazione cardiaca che necessita di ulteriori esami e cure antibiotiche senza la quali il suo destino è segnato. La sorte di Amir è dolorosamente simile a quella di tantissimi altri bambini.
Un milione, per l’esattezza: tanti sono i bambini nel mondo che ogni anno nascono con gravi malformazioni e patologie cardiache. Di questi, almeno l’80 per cento non ha la possibilità di accedere a cure, diagnosi e operazioni chirurgiche perché nel proprio Paese sono assenti strutture ospedaliere attrezzate per la cardiochirurgia pediatrica, perché scarseggia il personale medico adeguatamente formato oppure, laddove esistano queste condizioni, il costo delle operazioni è troppo elevato per le famiglie dei piccoli ammalati. In particolar modo, nel caso di malformazioni cardiache congenite, è essenziale una diagnosi precoce, perché se non viene trattato correttamente e tempestivamente, 1 bambino su 3 muore nel primo mese di vita; in Paesi come l’Uzbekistan, per esempio, il tasso di mortalità dei bambini cardiopatici nel primo anno di vita è di dodici volte superiore alla media italiana.
La Fondazione “aiutare i bambini” Onlus nasce nel 2000 con l’intento di soccorrere bambini poveri, ammalati, privi di istruzione o vittime di violenza fisica e morale. In dodici anni di attività la Fondazione ha dato vita a progetti educativi, di accoglienza, di assistenza sanitaria e anche di adozione a distanza. Quasi 900mila bambini sostenuti e più di 900 progetti di aiuto finanziati in 71 diversi Paesi del mondo. Dal 2005 “aiutare i bambini” ha iniziato a occuparsi del problema delle cardiopatie infantili. È nato così il progetto “Cuore dei bimbi”, per salvare i bambini affetti da gravi cardiopatie nei Paesi più poveri, dove strutture e formazione chirurgica specializzate sono carenti.
In collaborazione con alcuni ospedali italiani, quindi, il programma ha organizzato periodicamente delle missioni, inviando equipe italiane altamente specializzate di chirurghi, tecnici e infermieri principalmente in Africa, Asia ed Esteuropa. I medici partecipano a titolo gratuito, come volontari; per anni le giornate di missione sono state loro conteggiate come giorni di ferie personali. Scopo prioritario delle missioni, oltre a operare i bambini, è quello di fare formazione ai cardiochirurghi degli ospedali esteri visitati. «Quando i medici italiani avevano concluso la missione in loco», ha ricordato Goffredo Modena, presidente della Fondazione “aiutare i bambini”, «tutto si fermava e le sale operatorie si svuotavano. Perciò abbiamo compreso l’importanza di questa “traslazione di conoscenze”, dedicandovi progressivamente sempre più risorse e tornando più volte in uno stesso ospedale onde verificare di persona lo stato dei piccoli pazienti e i progressi del personale locale».
Francesco Rosati