16/06/2013
(Foto: Scalettari)
Era il 16 giugno 1976. Nella township di Soweto, alla periferia di Johannesburg (Sudafrica), migliaia di studenti e docenti uscirono dalle scuole per protestare contro la scarsa qualità dell’educazione scolastica impartita ai neri e contro l’obbligo d’imparare l’afrikaans, la lingua degli oppressori bianchi.
Vigeva ancora il regime dell’apartheid e Nelson Mandela avrebbe fatto ancora molti anni di carcere. La polizia rispose con la forza, prima lanciando gas lacrimogeni sulla folla e poi iniziando a sparare. Furono uccisi quattro bambini. Al termine degli scontri, che durarono ancora per dieci giorni, le vittime furono 500 (bambini, giovani, ma anche adulti), i feriti più di 1.000.
Le proteste continuarono anche nell’anno successivo, il 1977: a causa della repressione persero la vita altre 700 giovani vite. Finalmente, il regime sudafricano cedette: il 26 giugno di quell’anno il governo revocò l’insegnamento dell’afrikaans. Fu il primo importante passo verso l’abolizione della segregazione razziale in Sudafrica (solo il primo passo di una battaglia ancora lunga: l’apartheid finì solo nel 1991).
In quello stesso anno l’Organizzazione dell’Unità Africana proclamò il 16 giugno come il giorno del ricordo delle vittime della marcia di Soweto, emblema del coraggio e della lotta per i diritti di tutti i bimbi oppressi del Continente. Negli anni questa data è diventata un appuntamento importante per riflettere sulla condizione dell’infanzia nei Paesi africani, dove fame, malattie, analfabetismo, guerre, insieme con fenomeni come quello dei bambini di strada, dei bambini soldato e dei piccoli profughi - rendono incerte e difficili le prospettive di sviluppo del Continente.
Luciano Scalettari