08/05/2013
Rubano nelle case. Sono sporchi. Sono parassiti. Rapiscono i bambini. Non mandano i figli a scuola. Vivono di elemosina ma guidano belle macchine. Non vogliono lavorare. A loro danno casa e soldi e a noi italiani niente. Da quando sono arrivati loro, nel quartiere non si vive più. Non sanno o non vogliono integrarsi.
Quando si parla di rom, spesso la strada più facile è ricorrere ai luoghi comuni. Non importa se, quando o in che misura si sia potuto appurare la veridicità di certi stereotipi. Il luogo comune è diventato, nella percezione generale, un dato acquisito: la discriminazione e il pregiudizio verso i rom sono elementi profondamente radicati nel nostro orizzonte culturale.
Qualcuno potrebbe obiettare che questa affermazione è a sua volta figlia di un luogo comune, per giunta di matrice buonista. Si provi allora a pensare se, nel vagone affollato di una metropolitana, ci si trovasse accanto un "nomade": quanti controllerebbero subito, in maniera istintiva, il portafogli o la borsa? Fra di loro si conta anche chi scrive.
Letteralmente lo stereotipo è la lastra che si applica ai rulli per stampare con le rotative cilindriche. Ma al di fuori del contesto tipografico, in psicologia e sociologia lo stereotipo indica l'applicazione di opinioni precostituite a cose o persone: i comportamenti che uno stereotipo attribuisce a un gruppo sociale sono sempre e per tutti.
Ovviamente tutti, chi più chi meno, ragionano attraverso stereotipi: in particolar modo, nell'incontro con la diversità e nell'autorappresentazione dell'alterità, ci si aspetta di trovare alcune caratteristiche che, per l'appunto, vengono ritrovate. Mentre quelle inattese sfuggono perché estranee alla propria rappresentazione. L'ignoto rientra nel noto. Il nuovo rientra nella categoria del vecchio. Sono "profezie che si autodeterminano".
Ma come nascono questi stereotipi? E, soprattutto, in una società mediatica come la nostra, è possibile affermare senza timore di smentita che i mass media esercitino un ruolo determinante nella formazione di luoghi comuni, "leggende urbane" e credenze generalizzate? Infine: è possibile che, proprio per la rilevanza attribuita ai media nella società odierna, lo spirito critico di ognuno sia stato progressivamente indebolito e svilito?
Francesco Rosati