Le promesse mancate del Bahrein

Un rapporto di Amnesty International denuncia che la promessa di riforme in Bahrein non è stata mantenuta. Ed è tuttora in atto una violenta repressione

La Primavera del Bahrein

22/11/2012

Il 14 febbraio 2011 migliaia di persone scesero nelle strade e nelle piazze del Bahrein per dare voce alle proprie richieste. La maggioranza dei manifestanti, sciiti, si lamentava di essere stata politicamente ed economicamente emarginata dalla famiglia reale Sunni Al Kahlifa, sunnita, che domina ogni aspetto della vita sociale in Bahrein. Le autorità risposero a una protesta in gran parte pacifica con un uso della forza giudicato eccessivo e del tutto non necessario. Tra febbraio e marzo almeno 35 persone morirono, delle quali 5 in custodia alle forze di sicurezza. A metà marzo il Governo dichiarò uno stato di emergenza di 3 mesi, durante il quale più di 4mila persone furono allontante dal proprio posto di lavoro, centinaia furono arrestati, maltrattati o addirittura torturati mentre erano detenuti. Tra aprile e ottobre, dozzine di persone furono giudicate da tribunali militari e condannate. Per far fronte alla montante disapprovazione della comunità internazionale, nel giugno 2011 la famiglia reale istituì una Commissione d'inchiesta indipendente (BICI), che comprendeva cinque rinomati esperti legali internazionali di diritti umani, con il compito di indagare sulle violazioni degli stessi avvenute nel Paese. Alla pubblicazione del rapporto della Commissione, nel novembre 2011, il Governo si impegnò pubblicamente ad accogliere le raccomandazioni espresse nel rapporto.

Il rapporto della BICI dichiarava senza mezzi termini che il Bahrein si trovava di fronte alla scelta radicale tra stato di diritto o precipitare in una spirale di repressione e instabilità: il Governo si era infatti reso responsabile di gravi violazioni dei diritti umani e, perciò, la Commissione esprimeva una serie di raccomandazioni impellenti fra le quali, tra le altre, quelle riguardanti l'urgenza di accertare le responsabilità e di svolgere indagini indipendenti sulle denunce di tortura e di altri abusi. Apparentemente il Governo pareva aver recepito positivamente queste richieste e si dichiarava pronto a metterle in atto. Evidentemente, a un anno di distanza, le promesse sono rimaste lettera morta. Il rapporto di Amnesty International evidenzia che le autorità hanno invece consolidato la repressione: nell'ottobre 2012 è stato emanato il divieto di ogni raduno pubblico in violazione a qualsiasi diritto di libertà d'espressione, mentre in novembre a 31 esponenti dell'opposizione è stata ritirata la cittadinanza. Hassiba Hadj Sahraoui, vicedirettrice del Programma Medio Oriente e Nordafrica di Amnesty International, non ha esitato a definire una farsa il processo di riforme nel Paese. E ha aggiunto: «Risulta evidente che le autorità del Bahrein non hanno nemmeno la volontà di intraprendere le azioni necessarie per le riforme. Asserire il contrario dimostra unicamente lo scarto esistente tra retorica e realtà». 

Secondo Amnesty International, a oggi il numero di indagini sui casi di tortura è stato decisamente basso e finora non è stato reso pubblico alcun risultato che dimostri che investigazioni indipendenti e trasparenti siano effettivamente avvenute. Solo pochissimi ufficiali di basso rango e appena due di grado superiore sono attualmente sotto processo per l'uccisione di alcuni manifestanti e il maltrattamento di detenuti. Non è stata nemmeno avviata alcuna indagine per l'identificazione di chi ha ordinato gli abusi. La promessa di giustizia sembra solo uno slogan per pacificare la popolazione, mentre per le vittime di violenza e per le loro famiglie non è altro che un'affermazione aleatoria. L'uso della forza indiscriminato, intanto, non accenna a diminuire. Nel primo anniversario della pubblicazione del Rapporto della BICI, Amnesty International continua a richiedere immediato rilascio degli obiettori di coscienza detenuti, indagini trasparenti sui casi di tortura, il rinvio a giudizio di chiunque, in qualsiasi anello della catena di comando si trovi, responsabole di aver ordinato abusi e violenze. La comunità internazionale, inoltre, in particolar modo Usa e Gran Bretagna, dovrebbe immediatamente denunciare le ripetute violazioni dei diritti umani e far seguire alle dichiarazioni di condanna i fatti, senza nascondersi dietro la "favola" delle riforme.

Francesco Rosati
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