08/03/2012
Kaltoum, 19 anni, ha perso la mano sinistra ed è stata seriamente ferita durante un attacco al suo villaggio, in Sudan. Continua a lottare per vivere in un campo profughi dove ha trovato riparo. Foto di Abert Gonzalez Farran/Unamid. Epa/Ansa.
L'Onu ha dedicato l'8 marzo a loro, alle "donne rurali", cioè a coloro che si battono quotidianamente contro fame, povertà, conflitti, emarginazione. Accade in ogni villaggio del pianeta, ma soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Il termine inglese usato per riconoscerne e celebrarne l'azione è empowerment, che si può tradurre come crescita umana, sociale e politica di un singolo o di una comunità. In ogni caso le donne sono protagoniste. Sempre di più. Sempre meglio.
Cinque mesi fa, il Comitato di Oslo ha assegnato il Nobel per la Pace 2011 a tre donne,
di cui 2 africane,
assumendo le motivazioni presentate dalla Campagna Noppaw lanciata
dall’Italia, che chiedeva di riconoscere il loro ruolo fondamentale e insostituibile
in tutti i settori della vita economica, politica e sociale, soprattutto nei paesi del Sud del
mondo.
Donne somale nei pressi del villaggio di Tabda, a circa 80 chilometri dal con fine con il Kenya. Foto di Thomas Mukoya/ Reuters.
«Le donne africane hanno assunto la responsabilità di
chi intende essere parte attiva nella soluzione dei problemi. Dedichiamo a loro
questo 8 marzo. Lo dedichiamo a tutte le donne africane, che rappresentano il 70 per cento della
forza agricola del continente, che producono l'80 per cento delle derrate alimentari
e ne gestiscono la vendita per il 90 per cento», commenta Guido Barbera, presidente del coordinamento di
associazioni Solidarietà e Cooperazione
(Cipsi).
«Nel
continente africano le donne provvedono per il 90 per cento alla produzione di mais,
riso, frumento facendo la semina, irrigando, applicando fertilizzanti e
pesticidi, mietendo e trebbiando», prosegue Barbera. «Dedichiamo l'8 marzo a tutte quelle donne che stanno sostituendo le
spese militari con spese per l’educazione, come succede nella Liberia del premio
Nobel Johnson Sirleaf. A tutte le donne che nelle zone rurali dell’Africa si
fanno carico della sopravvivenza quotidiana a partire dalla raccolta dell’acqua:
un viaggio andata e
ritorno dalla sorgente che dura in media un’ora e mezza. L’economia di
sussistenza del continente dipende in gran parte dal loro impegno quotidiano,
assunto nonostante
le difficoltà e gli ostacoli, dall’accesso limitato alle risorse di produzione
come il credito o la proprietà delle terre, alla durezza del lavoro.
Testimoni della biodiversità e garanti dello sviluppo equo sostenibile,
portano sulle spalle il continente seguendo il grande esempio lasciato dalla
prima donna africana Nobel per la Pace, Wangari Maathai, biologa
ambientalista kenyana».
Alberto Chiara