15/05/2012
Il professor Francesco Perrini, dell’università Bocconi di Milano, ha più volte ribadito come quello di Jak Italia possa rappresentare un esempio scomodo nel panorama italiano e, proprio per questo e a maggior ragione, dovrà essere rigorosissimo nel fare rispettare le regole. In un Paese in cui le regole sono molto spesso soggette a interpretazioni di comodo. Sembrano passati secoli, e invece sono solo tre anni e mezzo, da quando la Lehman & Brothers, società leader negli investimenti finanziari, dichiarò di fatto il proprio fallimento con conseguenze drammatiche su centinaia di investitori. Bene, nell’ottica della sostenibilità e della correttezza delle banche e dei soggetti che operano più in generale nella dimensione finanziaria, è bene ricordare come, ricorda Perrini, “gli analisti di quella società, la mattina stessa del giorno in cui avrebbero annunciato la bancarotta, suggerivano ancora di comprare”. Quello che piace, di Jak Italia, è “il ritorno a un necessario contatto con la realtà dimostrato, in parte, dai tentativi di “pulizia” della propria immagine che alcuni gruppi bancari stanno mettendo in atto introducendo e promuovendo pratiche di responsabilità sociale”. Riguardo al tema della dispersione delle energie, invece, sono in pochi a immaginare che “in Italia ci sono qualcosa come 800 insegne di banche suddivise principalmente in spa, popolari e crediti cooperativi per un totale di 35.000 sportelli: i dipendenti, dal canto loro, sono in media 3.9 per azienda”. E ancora “La verità è che consumiamo in eccesso, produciamo in modo non sostenibile e nello stesso tempo buttiamo circa il 40% dei cibo che acquistiamo: i conti non tornano e non torneranno fino a quando non si cambierà il modo di fare banca. I rating etici, introdotti da qualche tempo, ci dicono che le banche sostenibili sono più sicure”. Essendo una materia nuova, ancora molto c’è da fare, anche a livello di normativa: “Intanto bisognerebbe stabilire dei principi oggettivi che permettano di distinguere banche sostenibili e non; sviluppare modelli di misurazione delle performance non economiche in un’ottica multi-stakeholder; passare dalle fidejussioni alla fiducia”.
Nel suo intervento, il professor Luigino Bruni, professore ordinario di Economia politica presso l’università di Milano Bicocca, ha riportato l’attenzione sulla banca come bene comune, ricordando come modelli di finanza sociale cooperativa esistano da almeno 500 anni come risposta all’usura: “Mi piace pensare alla banche come imprese civili e per questo appoggio in pieno il progetto Jak Italia: ne incarna tutte le caratteristiche. Nei modelli tradizionali l’etica è una sorta di vincolo alla massimizzazione del profitto, in questo, invece, il movente è il progetto mentre il vincolo è dato dall’efficienza”. Per questo, secondo il suo punto di vista, non ci possiamo permettere che la finanza, che non va demonizzata ma migliorata nell’interesse di tutti, “non può e non deve essere lasciata in mano ai finanzieri”. E così torna uno dei principi cardine dell’idea di Jak: le cose facili da capire sono più facili da mettere in pratica. “Chi investe in relazioni - prosegue Bruni - riesce a essere più forte della crisi. Il mercato, pensandolo correttamente, è soprattutto cooperazione: la competizione è un surplus”. Valorizzare la sussidiarietà economica deve essere un “must” ma il problema, in Italia come altrove, è che le banche non conoscono chi si rivolge a loro perché sono come corpi estranei al territorio: a causa di questo approccio, con la crisi, ad esempio, si sono tagliati i fondi anche alle imprese “buone”. Come andare avanti, dunque? “Tenere elevati ideali è l’unica strada possibile: solo così si attirano persone migliori che diventeranno così rapporti di lungo periodo. E poi il personale deve essere un giusto mix di competenza e coinvolgimento nel progetto: la prevalenza di uno solo di questi due aspetti potrebbe trasformarsi in un boomerang”.
Alberto Picci