Torino, polemiche e accoglienza

In Val Sangone, una borgata di Forno di Coazze (con appena 27 abitanti residenti) ospita da giorni 31 profughi africani, scappati da conflitti etnici, politici e religiosi.

Dalle polemiche all'accoglienza, una partita vinta

22/05/2011
Una parte dei 31 profughi africani che da qualche si trovano in una borgata di Forno di Coazze, nell'alta Val Sangone, in provincia di Torino, ospitati in una casa della parrocchia (foto: Paolo Siccardi/Sync).
Una parte dei 31 profughi africani che da qualche si trovano in una borgata di Forno di Coazze, nell'alta Val Sangone, in provincia di Torino, ospitati in una casa della parrocchia (foto: Paolo Siccardi/Sync).

Brescello è lontana. Non si tratta di Bassa Padana ma di alta Val Sangone e, in quanto a provincia, il riferimento è Torino, non Reggio Emilia. Ma la storia richiama a tratti quella di Peppone e don Camillo, sindaco e parroco lesti nel beccarsi a vicenda, e pure qui – proprio come nei libri di Guareschi – alla fine vince il buon cuore intrecciato al buon senso, anche perché la partita vera se la sta giocando un gruppo di africani, scappati da Paesi dilaniati da sanguinosi conflitti etnici, politici e religiosi.


Forno di Coazze è un grumo di case abbracciate alla montagna, a mille metri di quota. Ufficialmente conta 27 abitanti residenti. Ma il numero reale di chi sta lassù estate e inverno è inferiore. L’arrivo massiccio di decine di stranieri non può passare inosservato. Il pullman carico di umanità dolente agguanta l’ultima curva mercoledì 4 maggio, di buonora. È una parte infinitamente piccola del popolo che ha attraversato il Canale di Sicilia approdando a Lampedusa e che da lì ha preso vie diverse, risalendo l’Italia. Questo gruppo ha per destinazione il Piemonte, la Val Sangone, una frazione del Comune di Coazze, terra franco-provenzale all’ombra delle Alpi Cozie.


Don Dino Morando, parroco di Forno di Coazze (foto: Paolo Siccardi/Sync).
Don Dino Morando, parroco di Forno di Coazze (foto: Paolo Siccardi/Sync).

Dall’autobus scendono 31 persone, uomini, donne e un bambino di 10 anni. Un lunghissimo viaggio, il loro, che li ha visti lasciare Camerun, Nigeria e Repubblica Democratica del Congo per andare in Libia, chi a Tripoli, chi a Misurata, chi in altri centri ancora, da dove sono fuggiti, spinti via dalle ostilità. Alloggiano nel cuore della borgata Ferria, in una casa di proprietà della parrocchia. «Qualche settimana fa, l’arcivescovo di Torino, monsignor Cesare Nosiglia, aveva sondato la disponibilità mia e di altri sacerdoti della diocesi, cercando strutture idonee ad accogliere per un po’ di tempo questi fratelli bisognosi», spiega don Dino Morando, 66 anni, un prete tosto, che nel 1976 il cardinale Pellegrino man- da a Gemona, in Friuli, ad aiutare i terremotati, salvo poi richiamarlo a Torino, in prima fila nei quartieri operai di periferia, scelta confermata dai suoi successori fino al 2005 quand’è trasferito a Forno di Coazze, rettore di un celebre santuario mariano. «Che stiano per arrivare dei migranti me lo comunicano il giorno dopo Pasquetta, martedì 26 aprile; io avviso immediatamente il sindaco. Tempo una settimana e i 31 sono su». 


Paolo Allais, sindaco di Coazze (foto: Paolo Siccardi/Sync).
Paolo Allais, sindaco di Coazze (foto: Paolo Siccardi/Sync).

Ad accoglierli ci sono il primo cittadino di Coazze, Paolo Allais, 62 anni, un brillante architetto che milita nel Pdl, e tre lenzuoli (che rimangono appesi poche ore) con scritte polemiche: «Forno di Coazze, no Lampedusa! La Lega vigila», «Fora dalle balle», «Cassaintegrati, disoccupati e precari: chi li aiuta?». Allais veste i panni di Peppone, sia pur di Centrodestra, e punge il parroco, colpevole – a suo dire – di non averlo coinvolto con sufficiente anticipo. «Una decisione assurda. Quello è un posto da lupi», sentenziano, infine, lui e il vicesindaco Fabrizio Rosa Brusin, 46 anni, esponente della Lega. Monta la protesta. 


Paolo Allais (sindaco di Coazze, secondo da destra) e Fabrizio Rosa Brusin (vicesindaco di Coazze, leghista, penultimo da destra) con alcuni profughi africani ospitati in una borgata di Forno di Coazze (foto: Paolo Siccardi/Sync).
Paolo Allais (sindaco di Coazze, secondo da destra) e Fabrizio Rosa Brusin (vicesindaco di Coazze, leghista, penultimo da destra) con alcuni profughi africani ospitati in una borgata di Forno di Coazze (foto: Paolo Siccardi/Sync).

Piano piano, però, il clima si rasserena. Domenica 8 maggio, don Dino Morando, dopo aver scelto il silenzio al posto dell’omelia, scambia il segno della pace con Allais e ricorda il suo buon rapporto con lui. Il 10 maggio, il sindaco e il suo vice salgono nella casa che ospita i profughi, tutti cristiani. Sorrisi, saluti, una partita a calcio balilla. E dichiarazioni distensive, fatte, come ripetutamente sottolineato dai protagonisti, nel nome del buon cuore e del buon senso, che alla fine possono, devono prevalere.

Il sindaco di Coazze, Paolo Allais (primo da destra) e il suo vice, Fabrizio Rosa Brusin (secondo da destra, giocano a calcio balilla con due profughi africani ospitati nella casa della parrocchia di Forno di Coazze (foto: Paolo Siccardi/Sync).
Il sindaco di Coazze, Paolo Allais (primo da destra) e il suo vice, Fabrizio Rosa Brusin (secondo da destra, giocano a calcio balilla con due profughi africani ospitati nella casa della parrocchia di Forno di Coazze (foto: Paolo Siccardi/Sync).

«Queste persone», affermano concordi Paolo Allais e Fabrizio Rosa Brusin,  «hanno chiesto asilo politico. Appena la situazione sarà giuridicamente chiarita, vorremmo coinvolgerle in lavori utili, come la pulitura di torrenti o quella dei sentieri.  Possiamo anche ipotizzare di affidar loro terreni abbandonati per la coltivazione di piccoli frutti, tipo fragole, lamponi e mirtilli,  o di erbe officinali», dichiarano Allais e Rosa Brusin. 

 

Alberto Chiara
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