21/06/2011
È un coro di reazioni dure e allarmate quello che ha accolto
l’annuncio del ministro dell’Interno Roberto Maroni (Lega) secondo il quale il periodo di
detenzione nei Cie (Centri di identificazione ed espulsione) potrà «essere
prolungato dagli attuali 6 mesi fino a un massimo di 18 mesi, per consentire
l'identificazione o l’effettiva espulsione», come ha detto lo stesso ministro.
La società civile, le organizzazioni di tutela dei diritti
umani e in particolare gli organismi che si occupano di immigrazione e di
cooperazione internazionale denunciano l’illegittimità di questa nuova norma
(votata in Consiglio dei ministri il 16 giugno) e le ulteriori violazioni dei
diritti umani che ne conseguiranno nei confronti degli immigrati.
Maroni ha annunciato che «il decreto è importante perché dà
attuazione a due direttive europee». «Si trattava», ha aggiunto, «di un
problema di interpretazione e noi – nel pieno rispetto della direttiva – abbiamo
fornito questa interpretazione».
Ma sono molti a contestare le dichiarazioni del ministro. Ad
esempio Jean Leonard Touadi, parlamentare del Pd: «La dilatazione
dei mesi di trattenimento, di fatto una vera e propria detenzione senza i
diritti che costituzionalmente spettano ai normali detenuti, va nella direzione
opposta alla direttiva europea sui rimpatri del 2008 che richiede di limitare
la durata massima della privazione della libertà nell'ambito della procedura di
rimpatrio».
«Invece», insiste Touadi, «il Governo recepisca immediatamente,
come da tempo ha il dovere di fare, la Legge Comunitaria – tutta, e non nelle
parti che fanno più comodo – che ancora langue in Parlamento in attesa di
approvazione. Non c’è bisogno di stravaganti “interpretazioni” della norma
europea. Basta accoglierla nel nostro ordinamento. Dice cose ben diverse da
quello che sostiene il ministro Maroni».
Preoccupata anche la nota di padre Giovanni La Manna, presidente
del Centro Astalli (Servizio dei Gesuiti per i rifugiati): «Prolungare il
trattenimento nei Cie è per noi assurdo», ha commentato il gesuita. «È un modo
per esasperare ulteriormente gli animi. Qual è il senso di queste iniziative,
che mirano a mortificare la dignità delle persone?».
«Si tratta di un ulteriore segnale che indica la mancanza di
volontà di governare responsabilmente la situazione», ha aggiunto padre La
Manna. «La mia esperienza personale mi porta ad affermare che nei Cie è
possibile incontrare persone che non sono colpevoli di aver commesso alcun
reato» (il centro Astalli presta da tempo assistenza, anche legale, agli
stranieri detenuti nel Cie di Ponte Galeria, a Roma, ndr).
«Le persone che incontriamo nel Cie», conclude il
responsabile del Centro Astalli, «spesso non riescono nemmeno a capire cosa
stia loro succedendo e perché si trovino lì. Molti sentono parlare della
possibilità di chiedere asilo in Italia per la prima volta proprio durante
questi colloqui. In queste strutture purtroppo non c’é progettualità. Si tratta
di posti di mero contenimento nei quali si vive in condizioni disumane e di
estrema sofferenza».
Luciano Scalettari