01/02/2013
In portoghese "luta" non significa solo combattere, ma anche "non arrendersi mai". Luke Dowdney, ex pugile non professionista proveniente dal Regno Unito, scelse questo nome, Luta Pela Paz ("combatti per la pace"), per la palestra che aprì nel 2000 a Complexo da Maré, una favela di Rio de Janeiro dove scontri tra gang rivali per la spartizione del mercato della droga, esclusione sociale ed estrema povertà erano all'ordine del giorno.
Luta Pela Paz si proponeva di offrire una via d'uscita da un futuro che sembrava già scritto per tanti giovani e, con il tempo, si è allargata ad altre discipline sportive diventando una vera e propria accademia educativa che forgiava campioni dentro e fuori dal ring. Nel 2007 Dowdney ha fondato un'impresa sociale che produce abbigliamento sportivo da combattimento, battezzandola per l'appunto Luta. La mission dell'impresa era chiara: equipaggiare con attrezzature e abbigliamento di alta qualità campioni che avevano sofferto delle conseguenze della criminalità e della violenza, e fornire una parte dei propri proventi all'ente benefico Fight For Peace International che lavora con giovani a contatto con la violenza, rendendo omaggio allo spirito della favela dove lo stesso Dowdney aveva lavorato per tanti anni.
Luta garantisce su base annua una quota minima di 10 mila sterline e la metà dei propri profitti a Fight For Peace International, che si occupa di fondare accademie sportive in tutto il mondo. Le accademie si rivolgono a giovani che hanno avuto esperienza diretta di episodi di violenza, orientando i propri progetti all'insegnamento delle discipline sportive, alla crescita e all'educazione individuale, ma offrendo anche servizi di supporto e tutela della gioventù come corsi di formazione e canali di ingresso nel mercato del lavoro.
Una delle accademie di Fight For Peace International è nata a East London. Secondo uno studio d'impatto condotto dalla locale Università, l'85 per cento dei partecipanti ai progetti di Fight For Peace ha dichiarato di essere meno interessato in generale a diventare membro di una gang, e ben il 42 per cento ha messo fine alla propria affiliazione a una banda. Molti ragazzi hanno ammesso che il pugilato è un mezzo decisamente più indicato per sfogare rabbia e stress di quanto non sia uccidere e farsi uccidere in mezzo a una strada, per ragioni che a loro stessi sfuggono.
Francesco Rosati