09/02/2011
Dal nostro inviato.
Dakar, Senegal
Forse c’è qualcosa da rivedere, perché la formula non funziona più. A dieci dal primo appuntamento il Social Forum Mondiale (il primo si svolse a Porto Alegre, in Brasile, nel gennaio 2001), l’assemblea dei movimenti e della società civile di tutto il mondo, una sorta di kermesse variopinta, a metà tra una fiera di prodotti tipici e un palcoscenico di analisi intrecciate spesso convulsamente e senza ordine, mostra la sua fatica e molte ruvidezze. Quest’anno a Dakar sono presenti oltre 1200 organizzazioni di 132 Paesi, la maggior parte africani. Il Forum si svolge nella grande campus dell’Università, ma le attività dell’ateneo non sono state interrotte. Così nei viali polverosi è venuta su una sorta di baraccopoli dell’alternativa dove tra la sabbia e la polvere ogni giorno vanno in scena 300 dibattiti su ogni argomento che ha a che fare con lo slogan ormai tradizionale: “Un altro mondo è possibile”.
Il Forum dovrebbe proporre un bilancio di quanto è accaduto nell’economia mondiale e indicare nuove forme di partecipazione nella finanza e nella cultura, per la giustizia nello sviluppo e scovare buone pratiche che correggano i comportamenti personali, ma anche sociali e politici, quindi istituzionali, i quali portano alla crisi variamente declinate. Al centro dell’analisi da dieci anni c’è la globalizzazione e i modo con cui vengono declinati (o non declinati) tutela dei diritti e interdipendenze. Ma se un Forum che assomigliava più ad una festa che ad seminario di studio poteva andare bene all’inizio dell’avventura, quando una società civile globale si affacciava sulla scena, e rispondeva anche con qualche sberleffo al Forum economico dei ricchi riuniti tra le nevi svizzere di Davos, oggi la crisi e l’alternanza sono materie da trattare con più rigore di una kermesse di colori. Il primo Social Forum fu organizzato dalle associazioni della società civile brasiliana a Porto Alegre. Poi ha girato per il mondo tornando per tre volte in Brasile.
Forse avrebbe bisogno di una sede stabile, simbolica, come è la svizzera Davos per i “capitalisti” e tralasciare la formula della fiera. Dovrebbe coinvolgere centri di ricerca che selezionino informazioni e producano analisi non convenzionali. Se rimane l’attuale formula “movimentista” il Forum è destinato a sparire. La copertura dei grandi media è sparita. E non si può attribuire la responsabilità solo ad essi. Sono le reti più grandi e le Ong più strutturate non solo per quello che fanno, anche per quello che pensano, che potrebbero far tornare l’interesse dei media, se il Forum diventasse un appuntamento annuale che riunisce in un numero ristretto di sessioni la società civile mondiale, nelle sue espressioni più rilevanti. Oggi non è più nemmeno il red carpet dei leader alternativi.
Alberto Bobbio