05/03/2012
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Facile come bere un bicchiere d'acqua. Già, ma se il bicchiere è vuoto? Tra il 12 il 17 marzo, in Francia, a Marsiglia, il Forum mondiale dell'acqua fa il punto sul bene più prezioso che ha l'umanità. Un bene sempre più raro, sempre più conteso: in gioco c'è la vita di milioni di persone. Legata alla sopravvivenza stessa dell'uomo, associata in tutte le culture a vita e purificazione, l'acqua dovrebbe essere il bene universale, il diritto per antonomasia. E invece spesso si trasforma in un privilegio, in un prodotto da vendere e su cui speculare.
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Al Forum mondiale dell'acqua partecipano migliaia di realtà
provenienti da tutto il pianeta: ci sono i grandi della Terra, ma anche
tante voci della società civile e una fitta rete di Organizzazioni non
governative (Ong). La posta in gioco è altissima e molte sono le
aspettative. Ma ci sono anche tante contestazioni sulla natura del Forum: occasione per cambiare la storia o strumento per ribadire le
solite logiche di potere? Il World Water Forum (Forum Mondiale
dell'Acqua) è organizzato da un consiglio internazionale di cui fanno
parte imprese private, ma anche delegazioni governative, rappresentanti
delle Nazioni Unite e delle realtà locali, istituzioni finanziarie
(Banca Mondiale compresa).
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Quello che si svolgerà a Marsiglia dal 12 al
17 marzo è un evento all'insegna dei grandi numeri: più di 180 Stati
rappresentati, 800 relatori, 400 ore di discussioni e dibattiti,
migliaia di partecipanti attesi. Un "kolossal" che va in scena ogni tre
anni. L'ultimo appuntamento è stato a Istanbul, nel 2009. E se questi
summit sono spesso accusati di essere grandi contenitori privi
di concretezza, l'edizione 2012 ha per motto uno slogan eloquente: "time
for solutions" ("tempo di soluzioni"). Solo tre parole, ma sufficienti a
dare il senso di un'urgenza, a sottolineare che l'emergenza idrica non
può essere uno dei tanti punti da mettere nell'agenda politica, ma deve
diventare una priorità assoluta, per il Sud come per il Nord del mondo.
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I
tempi stringono e i numeri fanno paura. Attualmente, secondo stime Onu,
nel mondo muoiono ogni giorno 3.900 bambini per siccità e cattive
condizioni igieniche. Nel 2030, quasi la metà della popolazione mondiale
(circa 3 miliardi di persone) potrebbe rimanere senz'acqua. Se la
comunità internazionale non prenderà provvedimenti in tempi rapidi, nel
giro di pochi decenni l'acqua, "oro blu del XXI secolo", diventerà una
risorsa sempre più rara e contesa. Non tutti pensano che i World Water
Forum siano la risposta adeguata a problemi così urgenti. Anzi, esiste
un vasto fronte di oppositori, convinti che questi meeting riflettano
semplicemente la logica delle grandi multinazionali, interessate alla
privatizzazione dei sistemi idrici.
In particolare ha suscitato molte
polemiche il fatto che nessuno dei Forum svoltisi dal '97 a oggi sia mai
arrivato a definire l'acqua come diritto fondamentale di ogni essere
umano. Una lacuna pericolosa, perché rischia di lasciare campo libero a
chi vorrebbe fare dell'acqua un mero bene commerciale. Anche sulle
modalità di svolgimento dei forum sono state sollevate numerose
obiezioni: molti hanno messo in luce un "deficit di democrazia". Da qui
l'idea di organizzare un summit parallelo, un contro-forum che si tiene
negli stessi luoghi e nello stesso periodo di quello ufficiale. I temi
trattati non sono molto diversi: cambiano gli attori, che in questo caso
appartengono soprattutto alla vastissima e multiforme galassia della
società civile. C'è chi si schiera da una parte, chi dall'altra. E c'è
chi invece si schiera con il dialogo.
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«A noi non interessa trasformare
il problema dell'acqua in una questione ideologica. Pensiamo che sia
fondamentale parlare con le istituzioni e con chiunque desideri
impegnarsi concretamente. Per questo saremo presenti sia al Forum, sia
al contro-Forum». Parla Italo Rizzi, direttore della Lvia (Associazione
Internazionale Volontari Laici), preziosa realtà di cooperazione fondata
nel 1966 da don Aldo Benevelli, un sacerdote di Cuneo. In quarant'anni di attività a fianco
dei più poveri del mondo, dal Burkina Faso al Burundi, dal Mozambico al
Senegal, la Lvia ha maturato un'attenzione particolare al problema
idrico. «Pensiamo che l'acqua, proprio in quanto risorsa vitale, debba
rimanere un bene pubblico, soggetto a un controllo comunitario. In tutti
i luoghi in cui abbiamo lavorato, questo è sempre stato il nostro
riferimento fisso». Secondo Rizzi «il forum di Istanbul del 2009 ha
perso la grande occasione di riconoscere nell'acqua un diritto di ogni
uomo, principio poi sancito da una risoluzione Onu nel 2010. Ecco perché
è fondamentale portare avanti il confronto a tutti i livelli possibili:
con gli Stati, con le realtà locali, con la società civile».
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A
Marsiglia la Lvia presenterà un documento, frutto di una riflessione
interna, ma anche di un lavoro condiviso con altre 90 Ong, riunite in
una rete denominata Butterfly Effect. Il documento procede per punti
essenziali, concretissimi, scaturiti dall'esperienza di chi ha toccato
con mano disagio e povertà. Punti validi ovunque, visto che, non solo in
Africa, ma anche nel nostro Paese la Lvia ha sostenuto la battaglia per
l'acqua pubblica, appoggiando la campagna referendaria: «La gestione
privata dei servizi idrici senza alcun controllo democratico – si legge
nel documento - produce squilibri e contraddizioni. Nel rispetto del
principio di sussidiarietà appoggiamo politiche di investimento a favore
delle fasce marginali e delle aree più vulnerabili. Sosteniamo la
ricerca tecnica per arrivare a soluzioni semplici e robuste, per
favorirne il controllo locale e la sostenibilità».
Oggi, sia a livello
internazionale, sia in seno ai singoli Stati, esiste su questi temi una
sensibilità sconosciuta fino a qualche anno fa, ma la Lvia fa notare che
servirebbe un impegno ben maggiore. «Tra le priorità più urgenti –
spiega Rizzi – è necessario far fronte alla mancanza di igiene, che
sempre accompagna la mancanza d'acqua, sia negli ambienti rurali che
nelle grandi città. E poi mettere in rapporto emergenza idrica e
modificazioni dell'ambiente: tra le grandi emergenze del nostro tempo
c'è anche quella dei rifugiati climatici».
Lorenzo Montanaro