28/07/2012
Foto tratta dalla pagina Facebook della Campagna Control Arms. La fotografia di copertina è dell'agenzia Reuters.
Si sono chiusi con un nulla di fatto
nel quartier generale delle Nazioni Unite, a New York, i negoziati
per il Trattato sul commercio internazionale delle armi.
Lo storico accordo su un testo in cui
si sarebbe regolamentato per la prima volta un mercato da 70
miliardi di dollari l'anno sembrava a un passo e ora bisognerà
aspettare ottobre quando la seconda bozza del Trattato verrà
discussa dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite.
Forte delusione tra le organizzazioni non governative che per
oltre tre settimane hanno seguito le trattative. Novanta Stati hanno firmato
una dichiarazione congiunta: «Eravamo molto vicini al
raggiungimento dell'obiettivo. Siamo molto dispiaciuti di non essere
arrivati a un accordo oggi, ma non ci scoraggiamo».
Iran, Siria e Corea del Nord i maggiori
oppositori, mentre gli Stati Uniti hanno chiesto più tempo.
L'ultima bozza del testo in discussione
rispondeva solo in parte alle preoccupazioni espresse da
organizzazioni internazionali come Amnesty international e Oxfam, a
ogni Paese spettava valutare se le armi vendute rischiano di essere
utilizzate per compiere “gravi violazioni dei diritti dell'uomo”
o atti terroristici.
Foto Reuters.
L’Italia, nonostante una presa di posizione davvero positiva, quasi in contraddizione ha chiesto di non inserire nel Trattato le armi leggere ma solo quelle ad esclusivo uso militare. «Come se quelle leggere – sottolinea Emilio Emmolo di Archivio Disarmo – non fossero utilizzate nei conflitti quando è universalmente riconosciuto il loro peso soprattutto nelle guerre africane».
Sono cinque i principali punti della bozza del Trattato sul commercio delle armi convenzionali che non convincono la società civile. Non si fa in particolare riferimento al controllo di munizioni, parti e componenti, una delle questioni su cui hanno fatto opposizione gli Stati Uniti. Secondo un documento diffuso da Control Arms, rete di cui fanno parte diverse grandi ong, il testo «consente agli Stati di evadere i controlli sulle armi attraverso i programmi di assistenza militare o le donazioni». Gli altri tre punti che suscitano dubbi, perplessità e opposizioni sono la mancanza di riferimenti alle regole che dovrebbero impedire i trasferimenti di armi verso quei Paesi che non rispettano gli standard internazionali sui diritti umani; la possibilità, per gli Stati, di “interpretare” norme e obblighi secondo propri criteri e non secondo standard universalmente riconosciuti; la possibilità di rispettare contratti in essere, sebbene nel frattempo siano cambiati i riferimenti che avevano consentito in precedenza i trasferimenti.
Foto Reuters.
Cina e Russia sono a favore di un Trattato “debole” se non addirittura per il mantenimento dell’attuale status quo. Gli Stati Uniti, non solo pongono condizioni tali da depotenziare il Trattato, ma hanno esercitato pressioni su Francia e Regno Unito, che sostengono insieme ad altri 71 paesi un Trattato con criteri rigorosi che comprenda il divieto a trasferimenti qualora vi sia il rischio che le armi possano essere usate per violazioni di diritti umani.
Dall'11 settembre 2001 negli Stati Uniti ci sono stati più di 334 mila morti a causa delle armi da fuoco. Il 70% degli americani, nonostante la recente strage di Denver, ritiene inalienabile il diritto di possedere armi liberamente.
Foto Reuters.
Italia chiama America, armi più facili
In Italia, poi, a novembre 2011 il Parlamento ha cancellato il Catalogo nazionale delle armi comuni da sparo. La decisione non modifica la normativa per il porto, l’acquisto e la detenzione di armi, ma elimina la funzione preventiva e di controllo che il catalogo svolgeva sulla detenzione di armi da parte di privati. Questo conteneva infatti la descrizione dell’arma e del calibro, del produttore e del detentore, era aggiornato annualmente e poneva un discrimine preciso tra armi comuni e armi militari.
Il Presidente degli Stati Uniti d'America Barack Obama. Gli Usa sono stati tra i Paesi che hanno chiesto più tempo. Foto Reuters.
Secondo alcuni osservatori il provvedimento è un primo passo verso l’americanizzazione dell’Italia. Il settore delle armi leggere nel nostro Paese, è assai fiorente: 2.264 imprese, 11.358 addetti, 612.408 armi, 902 milioni di munizioni. Le esportazioni, come descritto nel Rapporto dell’Archivio Disarmo, non conoscono crisi. Nel biennio 2009-2010 hanno segnato un più 10 per cento rispetto al biennio precedente. «Non stupisce che il governo italiano abbia chiesto di escludere dalla regolamentazione del Trattato le cosiddette armi leggere ad uso civile e sportivo», afferma Carlo Tombola, direttore scientifico di Opal Brescia, l’Osservatorio permanente sulle armi leggere. «L’Italia è infatti uno dei maggiori produttori ed esportatori mondiali di queste armi e le nostre autorità non hanno avuto alcuna remora ad autorizzarne l’esportazione verso la Libia di Gheddafi, la Bielorussia di Lukashenko, il Turkmenistan di Berdimuhammedow e la Russia di Putin oltre a vari paesi arabi».
«La volontà politica di disarmare il mondo trova ostacoli continui», è il commento rilasciato nei giorni scorsi da monsignor Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l'Onu.
Gabriele Salari