01/06/2013
Il capitano di fregata Ilio Guarriera, primo da destra.
Rischia, immeritatamente, di finire nel mucchio delle cose dimenticate troppo in fretta. Fra le missioni di pace realizzate dalle nostre Forze armate occupa un posto speciale l'operazione “White Crane”, compiuta dopo il devastante terremoto che colpì Haiti il 12 gennaio 2010. Il Governo italiano decise di mandare sul posto la portaerei Cavour, che allora era stato appena consegnato alla Marina. Preparata e attrezzata in soli quattro giorni, la nave raggiunse Haiti dopo dieci giorni di navigazione, con a bordo 12 mila chili di generi alimentari, 36 mila litri di acqua potabile e 176 tonnellate di medicinali. Nello spazio di quattro mesi l'ospedale di bordo fornì oltre 300 prestazioni mediche. La Cavour rientrò in Italia in aprile.
Tra i tanti militari impegnati nella missione, c'era anche il capitano di fregata Ilio Guarriera,
napoletano. Alla vigilia del 2 giugno, lo abbiamo incontrato a bordo
della portaerei e gli abbiamo chiesto di raccontarci alcuni momenti
della missione ad Haiti.
«Il primo impatto dopo il nostro arrivo ad Haiti fu tremendo. Ci
trovammo di fronte alla devastazione del terremoto, ma ci rendemmo
subito conto che quel territorio era già martoriato da prima,
soprattutto a causa della malasanità e della povertà. Era stridente il
contrasto fra le due metà dell'isola: la Repubblica Dominicana un
paradiso per le vacanze, Haiti invece tutto un altro mondo di miseria e
sofferenza. Una delle richieste più pressanti riguardava l'acqua
potabile. Ce la chiedevano soprattutto i bambini. la nave portaerei
Cavour è attrezzata per ricavare acqua potabile dall'acqua marina e così
ne abbiamo trasportati ettolitri a terra, grazie agli elicotteri».
«La popolazione locale in un primo tempo ci
guardava con un po' di diffidenza», prosegue Ilio Guarriera. «Vedere
gente in divisa faceva un po' paura. Ma una volta rotto il ghiaccio il
rapporto con le persone è stato magnifico e la loro felicità è stata
commovente. Come sempre, in questi casi, abbiamo cercato di dare un
mano alla popolazione locale andando anche al di là dei nostri compiti
specifici. Così, ad esempio, abbiamo ricostruito un muretto distrutto e
ripulito le aule di una scuola.
In un magazzino abbiamo trovato
abbandonate diverse macchine da cucire. I nostri tecnici di bordo ne
hanno riparate alcune e poi hanno insegnato agli haitiani a ripararle da
soli. Hanno imparato bene, perché gli haitiani erano davvero avidi
di conoscenza. Così ho visto applicato nella pratica il celebre detto,
secondo il quale, dopo aver dato un pesce a un affamato, è sempre meglio
insegnargli a pescare».
Roberto Zichittella
Dossier a cura di Alberto Chiara e Luciano Scalettari