Asia, il lavoro che uccide

Crollano fabbriche di vestiti (in Bangladesh) e di scarpe (in Cambogia). Centinaia di morti. Si mobilitano società civile, Europa e Onu. Per darsi regole. E farle rispettare..

Abiti puliti: firma anche Benetton

17/05/2013
Un'immagine tratta dal sito della Campagna internazionale abiti puliti (https://cleanclothes.org).
Un'immagine tratta dal sito della Campagna internazionale abiti puliti (https://cleanclothes.org).

Jeans e magliette, scarpe e sciarpe: anche i capi di abbigliamento che indossiamo, spesso ignorandolo, sono sporchi del "sangue" versato da lavoratori morti per le condizioni di lavoro in cui sono costretti. È per difendere i loro diritti, a maggior ragione nei Paesi come il Bangladesh, dove molte multinazionali portano gli stabilimenti così da produrre le collezioni destinati ai mercati occidentali riducendo all'osso i costi e ottimizzando i ricavi, che è nata la campagna "Abiti puliti". L'ultima catena che ha accettato di aderire alle richieste esercitate dalla CCC, Clean clothes campaign, a poche ore dalla scadenza dell'ultimatum fissato, è stata Benetton: l'azienda italiana ha sottoscritto l'accordo per la sicurezza e la prevenzione degli incendi nel Paese asiatico che comporta un impegno a 360°.

In particolare, l'impegno assunto prevede ispezioni indipendenti, incontri formativi per i lavoratori in merito ai loro diritti, diffusione dei risultati e l'obbligo di revisione strutturale degli edifici e interruzione delle relazioni commerciali con le aziende che rifiuteranno di adeguarsi. «Il cuore dell’accordo - spiega Deborah Lucchetti, presidente di Fair e portavoce della Campagna Abiti puliti - è l’impegno delle imprese internazionali a pagare per la messa in sicurezza degli edifici, unitamente ad un ruolo centrale dei lavoratori e dei loro sindacati. Solo attraverso una diretta partecipazione dei lavoratori del Bangladesh sarà possibile costruire condizioni di lavoro sicure e mettere la parola fine a tragedie orribili come quella del Rana Plaza».

Dal 2005 a oggi sono almeno 1.700 gli operai tessili bengalesi ufficialmente morti a causa della scarsa sicurezza delle strutture.

 Alberto Picci

Dossier a cura di Alberto Chiara e Fulvio Scaglione
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