Dossier - Un mondo senza pesci

Arriva in Italia un documentario che lancia l'allarme: entro il 2048 si svuoteranno gli oceani se l'uomo continuerà a pescare in modo sconsiderato. Come scegliere i prodotti migliori.

Gli effetti devastanti della pesca intensiva sull’ecosistema dei nostri mari

09/03/2011

Immaginate un mondo senza pesci. È questo il sottotitolo di “The End of the Line”, il documentario che arriva in Italia, nella collana Real Cinema edita da Feltrinelli, con la collaborazione di Slow Food. Al capolinea, al punto di non ritorno, mancano meno di quarant'anni. Per il 2048, secondo alcuni scienziati, non ci saranno più pesci negli oceani se l'uomo continuerà a pescarli in modo sconsiderato.

Il film di Rupert Murray, prodotto con il supporto del Wwf, presentato in anteprima mondiale nel 2009 al Sundance Film Festival e in seguito al Festival del Cinema di Roma, racconta una di quelle scomode verità sull'ambiente che troppo spesso l'umanità sceglie di ignorare. Il documentario trae spunto dall’omonimo libro del giornalista inglese Charles Clover (uscito in Italia con il titolo di “Allarme pesce”) e illustra i devastanti effetti che la pesca intensiva provoca sull’ecosistema dei nostri mari.

Il regista, viaggiando tra Cina, Regno Unito, Gibilterra, Malta, Senegal e Giappone, svela le iniquità compiute ai danni della fauna marina. Le innovative tecniche di pesca comportano una minaccia per molte specie ed è stato calcolato che, andando avanti di questo passo, entro il 2050 non ci sarà più nulla da pescare. Una posizione apocalittica, è vero, ma a volte un pugno nello stomaco è l’unica maniera che si ha per provare a cambiare pratiche e abitudini distruttive.

“The End of the Line” non è contro la pesca o contro chi si nutre di specie ittiche, ma mette in risalto la necessità di una gestione sostenibile delle nostre risorse. Quali sono le tecniche di pesca oggi più utilizzate? Chi consuma tutto questo pesce? Come viene impiegato? Molti celebri chef, interrogati su questi temi, non hanno voluto dare risposte.

Il film è anche una denuncia dei metodi neocolonialisti che i paesi occidentali utilizzano nei mari d’Africa, è una campagna per il consumo sostenibile del pesce, è un grido disperato affinché le aree marine protette abbiano la possibilità di riprendersi. Insomma, è un vero e proprio manifesto per una nuova etica della pesca.

È di questi giorni poi l'originale protesta lanciata dal carro di Greenpeace al Carnevale di Viareggio. Non tutti sanno che il percorso dei carri si affaccia su un tratta di mare speciale, il Santuario dei cetacei. “Serve un Santuario, non un cimitero” è il messaggio lanciato, perché in questa zona di mare "protetta" le minacce aumentano e le balene sono sempre meno. Il Santuario dei Cetacei si estende dalla Toscana fino al nord della Sardegna, la Costa Azzurra e la Liguria. Ad oggi però non c’è nessuna tutela specifica per proteggerlo. Cresce invece il degrado e le minacce aumentano. Ultimo caso, il progetto del rigassificatore offshore che verrà costruito proprio davanti a queste coste.

Gabriele Salari
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