12/07/2012
Un cacciabombardiere F35 al decollo, Foto Ansa,
Lavoro non bombe. Questo chiedono gli italiani, giovani
e anziani. Il lavoro è vita, le bombe la distruggono. Eppure, mentre si
continua a tagliare sulla vita della persone, per le armi la spending review non ha inciso come auspicato. Qualche sforbiciata, a onor del vero, comincia ad esserci. Sugli
acquisti, sugli investimenti, sulla mini-naja e sulle missioni
internazionali, che avrebbero a disposizione, nel 2013, 400 milioni in
meno. Sul taglio del personale (che per ora dovrebbe essere non
inferiore al 10%) non ci sono ancora numeri certi ma soprattutto non è
ancora certo chi pagherà i costi dell’operazione visto che il personale
dovrebbe essere messo a riposo con il 95% dello stipendio, in deroga
alla stessa riforma delle pensioni del ministro Fornero. A parte il
trattamento speciale riservato ai militari, il conto sarà pagato con i
fondi del bilancio della Difesa oppure questi oneri verranno scaricati
sulle altre amministrazioni dello stato aumentando di fatto la spesa
militare?
I più informati dicono di un braccio di ferro in corso da tempo
all’interno del Governo con il ministro della Difesa, l’ammiraglio
Giampaolo Di Paola, che sta cercando di ottenere dal Parlamento la
delega per riorganizzare in proprio la spesa militare del prossimo
decennio continuando così la più anacronistica delle corse agli
armamenti. Parliamo del disegno di legge delega di riforma dello strumento militare (denominato Ddl Di
Paola dal suo primo e unico firmatario) in discussione da alcune
settimane al Senato. Parliamo di almeno 230 miliardi di soldi pubblici
che verrebbero sottratti ad un Paese, il nostro, in grandissima
difficoltà.
Il disegno del Ministro è avvolto da numeri e da parole che si prestano a
più di una lettura: revisione in senso riduttivo, stabilità
programmatica, flessibilità di bilancio, invarianza della spesa. Ma
la sostanza è inequivocabile. Se il progetto venisse approvato così
com’è entrato a Palazzo Madama ci ritroveremmo con un superministro
della Difesa, dotato di poteri e autonomia senza pari, capace persino di
vendere armi nel mondo. E con uno strumento militare
ipertrofico, costosissimo, modellato sui “livelli di ambizione” di
qualche generale e di un complesso industriale che sembra dettare le
linee politiche ai politici. Uno strumento vicino più ai campi di
battaglia che alla Costituzione.
Il cacciabombardiere F-35 Joint Strike Fighter prodotto dalla Lockheed Martin. Foto Ansa.
Negli ultimi giorni, numerose organizzazioni della società civile e un
numero ancora più grande di cittadini hanno deciso di rompere il
silenzio che circonda l’iniziativa del ministro Di Paola sollecitando il
Parlamento a “pensarci bene”. L’appello promosso dalla Tavola della
pace lo scorso 22 giugno ha aperto un primo varco nel mondo politico ma
ancora più efficaci sono state le mail che centinaia di cittadini hanno
inviato direttamente ai senatori della commissione difesa e ai
capigruppo di Palazzo Madama. Ne danno conferma i resoconti della
riunione della Commissione Difesa del 4 luglio che riportano le proteste
“bipartisan” del senatore Valerio Carrara (Coesione Nazionale) e del senatore
Mauro Del Vecchio (Pd) raccolte dalla presidente Roberta Pinotti (Pd) secondo i quali
l’invio delle mail contrarie al Ddl Di Paola «configurerebbe un'indebita
pressione sulla Commissione ed i suoi componenti, che dovrebbero, al
contrario, vedersi riconosciuta la possibilità di esaminare un
provvedimento così delicato liberi da qualsiasi condizionamento». No
comment.
Di segno diametralmente opposto è stata invece l’iniziativa dei gruppi
parlamentari del Partito democratico delle Commissioni Difesa di Camera e
Senato, coordinati dal senatore Felice Casson e dall’ onorevole Rosa Villecco Calipari,
che il 10 luglio scorso hanno voluto rispondere direttamente alle
obiezioni sollevate dalla Tavola della pace illustrando una lunga serie
di emendamenti al Ddl Di Paola che sono stati depositati nella serata
dell'11 luglio. Tra questi ci sono la cancellazione delle due norme più
discutibili e discusse: quella che consentirebbe al ministro della
Difesa di vendere armi nel mondo e quella che scaricherebbe sugli Enti
locali gli interventi di Protezione civile delle Forze Armate. Il Pd ha
inoltre deciso di avanzare altre proposte che se accolte costringeranno
finalmente il ministero della difesa a presentare il suo vero bilancio
comprendendo i fondi disloccati negli altri ministeri e a sottoporre a
verifica parlamentare tutti i programmi di ammodernamento e rinnovamento
dei sistemi d’arma, delle opere, dei mezzi e dei beni direttamente
destinati alla difesa nazionale.
Il Pd ha inoltre deciso di accogliere l’appello della Tavola
della pace affinché si punti alla cancellazione definitiva della
mini-naja, destinando il milione di euro
risparmiato al servizio civile. Tutte proposte estremamente positive che
ora devono passare al vaglio della Commissione Difesa, per passare poi
alle altre commissioni interessate e all’aula. Sullo sfondo resta il
problema non completamente risolto dell’eccesso di delega che il Ddl
attribuisce al ministro della Difesa, in assenza di un disegno
strategico di ridefinizione del modello di difesa compatibile con le
possibilità economiche del Paese e coerente con una nuova idea di
sicurezza e una nuova visione del ruolo dell’Italia in Europa e nel
mondo.
Flavio Lotti, Coordinatore nazionale della Tavola della pace.
Queste preoccupazioni sono oggi al centro della giornata di consegna
delle firme della petizione contro i caccia F35 che la campagna "Taglia
le ali alle armi" (promossa da Rete Italiana per il Disarmo,
Sbilanciamoci! e Tavola della Pace) ha deciso di organizzare come
momento conclusivo della seconda fase di mobilitazione. Negli ultimi
mesi l'attenzione sul tema delle spese militari e del particolare spreco
costituito dai cacciabombardieri Joint Strike Fighter è cresciuta moltissimo anche
grazie anche a Famiglia Cristiana e a tutte le informazioni
puntuali diffuse dalle associazioni e dai movimenti che hanno sostenuto
la campagna "Taglia le ali alle armi".
Oltre 75.000 cittadini e
associazioni hanno firmato la petizione al governo e più di 50 Regioni,
Province e Comuni hanno approvato un documento contro l’acquisto degli
F35. Dai problemi tecnici ai costi sempre in aumento, dai dubbi di
tutti gli altri Paesi partner alla ostinata decisione di continuare
l'acquisto da parte del nostro ministero della Difesa, alle inesistenti
"penali" sulla cancellazione dell'acquisto, l'opinione pubblica ha avuto
modo di capire meglio cosa sta dietro al progetto del caccia F-35.
Opporsi a queste armi e al Ddl Di Paola non è affare da pacifisti ma da
gente responsabile. Dobbiamo ridurre il debito pubblico e anche la
Difesa deve finalmente dare un contributo significativo. Dobbiamo fare i
conti con un mondo che sta rapidamente cambiando, riconoscere le nostre
responsabilità e decidere con quali strumenti e risorse intervenire.
Dobbiamo rimettere in piedi una politica di pace, cooperazione e
integrazione che è insieme estera e interna, italiana ed europea. Dobbiamo
prendere atto che la prevenzione è meglio della cura, il dialogo è
meglio dello scontro, la cooperazione è meglio della guerra, i ponti
sono meglio dei muri, la sicurezza umana è meglio della sicurezza
armata.
Flavio Lotti, Coordinatore nazionale della Tavola della pace