11/02/2013
«Il mio karibu è nato quasi per caso, quando nel bel
mezzo di un pomeriggio di metà maggio ho ricevuto l’invito ufficiale di
Francesca, ormai pilastro insostituibile di questa meravigliosa banda di
benefattori, che mi ha suggerito l’idea: “Pertz, io torno a Chakama, perché il mio
cuore non resiste più là da solo senza il mio corpo. Sissi (quell’idolo incontrastato di mia cugina) c’è,
manchi solo tu!”
Non ho avuto un solo dubbio nell’accettare
con entusiasmo folle e immediato, ho prenotato il volo la sera stessa e, fosse
stato per me, il giorno seguente sarei partito!
Questa è la versione che ogni tanto
racconto a me stesso.
Volete la vera verità?
Beh, il Pertz ci ha messo un mesetto buono
a decidere che l’estate 2010 l’avrebbe passata in un posto sperduto in mezzo
alla savana keniota chiamato Chakama … “Insomma - mi dicevo - hai avuto un anno bello
intenso e faticoso, esami impegnativi, calcio che dovrebbe essere
divertimento e ti ha portato invece a stressarti per riuscire a conquistare una
cavolo di salvezza a giugno inoltrato! e pigliati una vacanza con la V maiuscola”.
Ma alla fine le vacanze “normali” le ho
sempre fatte e con tutta probabilità le continuerò a fare ... l’attrazione che
provavo per questo tipo di esperienza andava al di là di qualsiasi
spiaggia/lettino/ombrellone sulla faccia della terra.
Insomma sentivo qualcosa dentro di me che
mi diceva che il momento era giunto, che la vita ti dà delle opportunità che
puoi cogliere o lasciare passare con il rischio (certezza?) che quel treno non
passerà più.
Avrei voluto saperlo da sempre, ma purtroppo non tutto si capisce
quando lo si dovrebbe capire (e comunque, cara Frency, ti ringrazio perché
forse la vocina dentro di te era talmente forte che è arrivata anche a me!).
Ma torniamo a Chakama … anzi, andiamo a
Chakama!
Voglio incominciare partendo dal fatto che
dentro di me non mi sono mai sentito, né con ogni probabilità mai mi sentirò,
un volontario di quelli autentici: quelli sono eroi veri, persone che mettono
in secondo piano i loro bisogni e le loro esigenze e si mettono a disposizione
degli altri per giorni, settimane, mesi, anni … decidono semplicemente di
donare la loro vita per regalarne a qualcuno una migliore.
Io ho solo cercato di fare quello che mi è
stato chiesto con la volontà e l’impegno che ci potevo mettere.
“Tre settimane di Chakama” sono volate, lo devo ammettere; solo ora
che sono tornato nella routine della vita italiana riesco a focalizzare quanto
importante e quanto diverso da quello che ho qui sia stato quello che ho
vissuto: sguardi, case, cieli, voglie, esigenze, mancanze ... tutto.
Questo pensiero mi conduce tuttavia a
realizzare che a Chakama tutto è stato naturale, lineare, spontaneo; fin dal
primo giorno le differenze nella mia testa sono diventate unione, le difficoltà
(non insormontabili, certo) racchiudevano al loro interno la soluzione.
“La mia Chakama” è stata solo cose belle: è stata la
fortuna di aver trovato un gruppo di persone vere, che si sono messe alla prova
ogni giorno districandosi tra mal di schiena, mal di pancia e malesseri vari; è
stata la disponibilità mostrata dalle persone del luogo che non hanno nulla,
che forse ancora per generazioni e generazioni non avranno nulla, ma che ci
hanno aperto le loro porte di casa, i loro cuori e ci hanno dato una fiducia
che, ripensata ora, mi sembra quasi spaventosa. Faccio fatica a elencare le persone che dovrei
ringraziare per questa estate magica.
E poi … di solito i ringraziamenti si
fanno alla fine di qualcosa, mentre qui non finisce proprio niente!».
“Jambo” (ciao)
«
Che nostalgia... e io che pensavo fosse
un luogo comune il tanto nominato “mal d'Africa” e
invece non riesco davvero a riprendermi.
Il problema è che la mia anima è ancora
lì e non riesco a rassegnarmi al fatto che sia già tutto finito (almeno per il
momento, ovvio) però mi ritrovo a guardare e riguardare le migliaia di foto
scattate ... a guardarle con tristezza, perchè mi manca tutto da morire e con
gioia, perchè ho vissuto davvero quegli indimenticabili momenti, tutto ciò mi
fa sentire senza equilibrio, stordita, spaesata.
M'incanto spesso quando penso, quando
ricordo, quando mi vengono dei flash di quelli che sono stati forse i ventidue
giorni più belli della mia vita.
Potrà sembrare un'esagerazione, ma chi l'Africa
non l'ha vissuta neanche un giorno non può capire. L'Africa ti squarcia. Ti
riempie e ti svuota. T'illumina e ti rabbuia. Ti rallegra e t'intristisce. È “un
mondo fuori dal mondo” ... e qui batte un piccolo cuore di
nome Chakama. Un posto quasi magico per quello che trasmette. Sensazioni
normalmente impercettibili qui si amplificano quasi al punto da stordirti, colori,
odori, rumori, sapori, suoni, risate, pianti, melodie, ritmi ... tutto dà
valore aggiunto a questa terra.
Chi dà vita a tutto ciò è la gente,
soprattutto quella in miniatura: i “watoto” (bambini), quei
bambini con gli occhi enormi, tristi, ma pieni di gioia e poi quei sorrisi,
tanti sorrisi immortalati nelle
foto, nei miei occhi, nella mia mente. Ma come fanno a sorridere così? Chi
glielo ha insegnato? Forse pensandoci bene lo hanno insegnato a me … ho
imparato da loro a sorridere col cuore! Sento ancora le loro voci, quei cori
così vicini eppure così lontani. Li vedo ancora sbucare da ogni dove e correre
come saette anche solo per salutarci per strada o per gridare "caramella,
caramella".
È inutile dirlo: "Quella gente
vive davvero". Vive la terra che gli dona il cibo .Vive le
piante che gli donano l'aria. Vive il fiume che gli dona l'acqua. Vive il cielo
che gli dona la libertà. Vive senza tempo, senza ansie ed è felice.
Sono arrivata lì con l'intenzione di
capire tante cose e son tornata a casa più confusa che mai, ma meno annebbiata
dalla mia realtà ... Sono stra-felice di aver vissuto questa
esperienza in questo posto meraviglioso, ma soprattutto di aver conosciuto
delle persone fantastiche, ognuna con una sensibilità da far invidia a
chiunque, con quella umiltà che ha reso il gruppo degno di portare avanti
questo progetto, con l'inconsapevolezza di donare parte della propria
professionalità, della propria persona, della propria anima.
Io, nel mio piccolo, ho cercato di fare
tutto quello che ho potuto, spesso non mi sono sentita all'altezza di alcune
situazioni, spesso mi sono sentita impotente, ma ho cominciato a pensarla come
loro “hakuna matata”.
Qualche lacrima soffocata per la soglia
di sensibilità che si assottiglia sempre più, qualche preoccupazione e un po’
di rabbia per episodi che purtroppo lì sono all'ordine del giorno (come i
bambini con la febbre altissima che potrebbero morire ogni giorno perchè i
genitori non hanno soldi per portarli dal medico).
Però … in un momento fortunato si
potrebbe incontrare una persona meravigliosa di nome Popi. Un uomo che si
ritrova a “catapultare” la propria vita per questa gente, per
questa terra e che coinvolge in quest’avventura tante altre persone
meravigliose. Una persona che, con coraggio, audacia, caparbietà e tanta poesia
e ingenuità, riesce a farti emozionare se da lontano la osservi mentre guarda i
"suoi bambini".
È stato davvero tutto meraviglioso.
Spero di poterci tornare un giorno per
riabbracciare “quei dolcissimi monelli”, calpestare di nuovo quella terra dagli sconfinati orizzonti
e riguardare il cielo più bello del mondo con le sue nuvole magiche e le sue
stelle spettacolari. “Asante sana”
(grazie mille) bambini per aver fatto parte della mia vita ieri, oggi e per
sempre.
“Asante sana”
Chakama per avermi regalato emozioni pure, dall'alba romantica al tramonto
mozzafiato.
“Asante sana”
Africa per avermi presentato la vera vita ... sono felice di essermi ammalata
di te!».
«Karibu, scusa se mi allontano
Ma….
Io ho fatto un viaggio. Non altro
E fino in fondo
E oltre
E ho conosciuto i cieli, le piogge, il
vento, la terra, il mare, i fiori, gli odori.
E ho incontrato Munyao, i suoi occhi, le
sue mani, l’allegria di Mangi, la dolcezza smisurata di Moses, la dignità degli
uomini e delle donne di Chakama.
E ho visto Tuma e il suo silenzio, l’insistenza
di Kazungu e tanti altri piccoli occhi pieni di luce, buio, fame.
La Gisela, il Gigi, Giorgio, Alphonce.
Le Alessandre paraceta e paramolo,
Frencyna, Giusssy, Laretta, Lulù, Niccolao, Massi, Megghi, Paulin (si pronuncia Paulìn), il Pertz, el
Popi, Rosy, Miss Sissy, Voi.
Le parole dette, ascoltate, taciute.
E ho imparato, capito, desiderato.
Ora immaginami Karibu.
Immagina che tra le tartarughe di Chakama
e di Munyao, io sia quella più grande.
Immagina che in quella grande geometrica corazza
ci sia il mio mondo.
E mi sia casa, compagna.
E sorridimi.
E concedimi anche di sorriderti.
E lascia che queste mie piccole zampe si
stringano a Voi tutti in un lungo, infinito abbraccio».
Karibu (ciao)
Alberto Picci