24/09/2012
Ma l'emergenza della Siria travalica i confini di quel Paese. E così, dal Libano, giungono le testimonianze raccolte da Agire e a cui siamo stati autorizzati alla pubblicazione. Cominciamo da Dina Taddia, direttore programmi GVC - Un mondo di solidarietà: «È facile cogliere la disperazione
negli occhi di chi, in poche ore, è stato costretto ad abbandonare la propria
casa e i pochi averi per fuggire in un paese straniero seppur vicino. È questo
che si coglie negli occhi di Amir, il figlio maggiore di una famiglia di
agricoltori che da generazioni lavora la terra nell’area agricola a sud della
città siriana di Homs. Da una settimana vive con l’intera famiglia, i genitori,
la moglie e i figli in una tenda fatta di pochi teloni di plastica a Masharia
al Qa in territorio libanese a poche centinaia di metri dal confine siriano. Sono
fuggiti a piedi con quanto avevano indosso e le poche cose che riuscivano a
trasportare, hanno camminato per quasi otto ore sulle vicine colline siriane
per poi raggiungere attraverso i campi il Libano. Non avendo documenti sono
rimasti a Masharia al Qua una zona cuscinetto fra il territorio siriano e il
formale posto di confine libanese e da quest’area, larga poco più di sette
chilometri km e lunga una decina, non si possono muovere: qui aspetteranno la
fine del conflitto sperando di poter ritornare presto a vivere e lavorare sulla
loro terra. Le famiglie come quella di Amir sono oltre 1000 a Masharia al Qa e
nuovi arrivi si registrano ogni giorno».
Mauro Clerici, di Terres des hommes, dal campo della missione fa sapere che: «All’inizio non riuscivamo neanche
a parlare con i bambini perché temevano ritorsioni. Sono rimasti giorni interi
chiusi in casa, sotto le bombe, aspettando una tregua negli scontri che
consentisse loro di fuggire. Molti sono adesso qui in Libano accompagnati da
altre famiglie a cui i genitori li hanno affidati. Non è facile aiutarli a
superare il trauma di quello che hanno visto e subito. Lo
status dei rifugiati siriani nei paesi confinanti varia considerevolmente e, di
conseguenza, varia la natura e la dimensione dei loro bisogni. Per quanto
riguarda il Libano – paese che, come la Giordania, non ha firmato la
Convenzione Internazionale del 1951 e i protocolli del 1967 sullo status dei
rifugiati e dove Terre des hommes Italia è attiva dal mese di Marzo 2012 con un
intervento a favore dei bambini delle famiglie rifugiate siriane che si sono
stabiliti nel nord della Beka’a (cittadina di Arsal e villaggi vicini) – i
rifugiati siriani non possono legalmente lavorare e soffrono di limitazioni
negli spostamenti all’interno del paese. Per quanto riguarda la scuola, il diritto
dei bambini siriani a frequentare le scuole pubbliche libanesi, sancito
teoricamente dal Ministero dell’Educazione, è tuttavia fortemente contraddetto
da: 1) il fatto che per il prossimo anno scolastico il Ministero ha richiesto
che le famiglie forniscano alle scuole libanesi certificati originali
rilasciati dalle scuole siriane di provenienza, una condizione che è
impossibile da soddisfare per la maggioranza delle famiglie; 2) il fatto che il
curriculum delle scuole libanesi differisce profondamente da quello delle
scuole siriane sia per quanto riguarda l’importanza data alla lingua straniera
che per quanto riguarda l’insegnamento delle materie scientifiche in lingua
straniera a partire dalla quarta classe elementare nelle scuole libanesi».
Infine c'è Mohamed (nome di fantasia), 7 anni: «è arrivato nella cittadina di
Arsaal insieme alla famiglia soltanto un mese fa. Vive in un piccolo
appartamento che normalmente accoglie i lavoratori stagionali (20 mq) e dove al momento convivono 2
intere famiglie. Composto
soltanto da una cucina e una stanza,
l’appartamento accoglie cinque adulti e dodici bambini. Mohamed
ed i suoi fratelli hanno lasciato il loro paese da poco meno di un mese, ma la
loro assenza dai banchi di scuola rimonta a due interi anni scolastici, sin dai
primi segni di protesta nel loro paese.
Da quando sono arrivati in Libano, l’ultima preoccupazione della famiglia
di Mohamed è la scolarizzazione, i mezzi dei genitori permettono solo di pagare
l’affitto della loro stanza. Non hanno le possibilità per iscrivere i bambini a
scuola (nemmeno quella di pagare i trasporti).
La situazione della famiglia di Mohamed è catastrofica, possiedono solo i vestiti che avevano
addosso al momento in cui hanno
attraversato la frontiera. Il padre, agricoltore, ora non riesce più a
lavorare perché soffre di ernia al disco. Tutti i figli vorrebbero tornare a
scuola ma le possibilità finanziarie non lo permettono. Traumatizzati dalle violenze che hanno
visto nel proprio villaggio i bambini hanno tantissime difficoltà ad
addormentarsi e i loro sogni spesso si trasformano in incubi tempestati da
scene di sangue e di violenza. Il
sogno di Jawad, fratello minore di
Mohamed con gravi problemi uditivi, sarebbe quello di riportare la
blusa/grembiule per andare a scuola, preferibilmente nel suo paese. I bambini
riportano diversi segni di traumatismi, spesso il loro modo di comportarsi
e di parlare è improprio per la
loro età, troppo violento,
politicizzato. Imad, fratello di Mohamded, 8 anni “in ogni caso dobbiamo
morire, e se devo morire voglio farlo a casa mia!!!”. Le famiglie necessitano
aiuto per i loro bambini ed affermano di non avere le possibilità né per le
rette scolastiche, né per il trasporto dei bambini in caso di frequenza del
nostro centro».
Alberto Picci