04/03/2013
Ricchezza e povertà, un contrasto lancinante. Manila è anche questo. Foto Reuters.
È il Paese più cattolico d’Asia, ma anche quello in cui la globalizzazione sta avendo un riscontro spesso invadente e negativo. Le Filippine, con i loro 91 milioni di abitanti, nella stragrande maggioranza (81%) cattolici, sono un prisma interessante per osservare i mutamenti in atto nel nostro tempo. È uno dei Paesi di maggior emigrazione in diverse parti del mondo (ad esempio i Paesi del Golfo persico); una terra spesso oggetto di sfruttamento commerciale (miniere, impianti di estrazione di materie prime, …).
C’è poi il confronto con l’islam radicale, impersonato dai movimenti di ribellione secessionista nell’isola meridionale di Mindanao, che sognano una secessione islamica e fanno filo da torcere al governo centrale di Manila, responsabile spesso di violenze su larga scala contro la popolazione civile. Le Filippine sono anche un luogo in cui tradizione e modernità si incontrano e scontrano: a fianco di una fede popolare ancora molto radicata, affiorano forti tendenze di secolarizzazione. Come la legge sul controllo delle nascite, che i diversi Governi recenti hanno cercato di introdurre e contro le quali la Chiesa, nella sua globalità (gerarchia e popolo) ha opposto una strenua e vincente opposizione.
Araldo di questo cristianesimo popolare è il giovanissimo (56 anni) cardinale di Manila, Luis Antonio «Chito» Gokim Tagle. Gokim come il cognome di sua madre, cinese, «tanto che nelle Filippine tantissimi si stupiscono che sia filippino: dal volto pensano che sia cinese». Teologo di spessore, Tagle è un prelato decisamente alla mano, mite e radioso. Lontano dal fare paludato di tanti monsignori, una volta nominato arcivescovo di Manila (2011) tenne per diverso tempo per sé la scelta di Benedetto XVI: «Pensavo che forse il Papa avrebbe cambiato idea», confessò in seguito.
Papa Benedetto XVI impone la berretta cardinalizia a Luis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila (Filippine).
Ratzinger non lo fece. Conosceva da tempo Tagle: l’aveva incontrato per la prima volta nel 1997,
appena quarantenne, presentandolo a Giovanni Paolo II come membro della
Commissione teologica internazionale. Vi è chi ha riferito la simpatica
battuta che Ratzinger fece a Wojtyla introducendogli il
prete filippino: «Santità, anche se sembra giovane, molto giovane, stia
tranquillo: ha già fatto la prima comunione». Un pastore semplice e umile, Tagle.
L’attuale cardinale di Manila, quand'era vescovo a Imus, popoloso sobborgo della capitale (3 milioni di abitanti), era
solito uscire dalla cattedrale ed invitare a pranzo i poveri che sul
sagrato stazionavano per l’elemosina. Il vaticanista John Allen ha
ricordato la vicenda di una donna di Imus: «Un giorno mi misi in cerca
di quell’ubriacone di mio marito, un disoccupato perso in fondo a un bicchiere. Pensavo di doverlo tirar
fuori dall’ennesima taverna: me lo ritrovai a tavola col nostro
vescovo!».
Uomo di Dio vicino alle sofferenze del suo popolo, Tagle spicca per
capacità di comunicazione: al Congresso eucaristico internazionale del
2008 in Quebec il suo intervento fece commuovere l’intero stadio dove
si teneva l’assise. Raccontò come una venditrice al mercato della sua
Imus gli avesse insegnato a lui, rappresentante ufficiale della Chiesa,
la fede dei semplici, spesso più radicata e radicale di quella di tanti
intellettuali.
In un Paese a larga maggioranza cattolica come le Filippine, Tagle
non ha timore di levare la voce ogni qualvolta vi sia da difendere la
verità dell’uomo e la solidarietà verso gli ultimi: «Non c’è dubbio che il mondo abbia bisogno di guarigione – ha scritto in Gente di Pasqua. La comunità cristiana, profezia di speranza
(Editrice Missionaria Italiana), libro in uscita in questi giorni -. La
morte senza senso di innumerevoli persone, specialmente di bambini, ci
mostra quanto è ferito il nostro mondo. Persino la natura è gravemente
ferita. Che la morte sia inflitta dalle armi da fuoco o dai debiti non
pagati, dall’embargo o dalla persecuzione, è un abuso di potere che
uccide. Il potere usato per dominare o costringere non dona vita. La
chiesa primitiva faceva affidamento sulla potenza del nome di Gesù
crocifisso». Per questo i cristiani devono tornare alla fonte della loro
fede: «Il nome di Gesù guarisce perché egli ha preso su di sé tutte le
ferite piuttosto che ferire gli altri. Il suo amore è la forza che
unisce le persone e fa loro formare una comunità».
Lorenzo Fazzini
Dossier a cura di Alberto Chiara