04/03/2013
Un gruppo di cristiani pachistani riuniti in una chiesa locale (Reuters).
Islamabad, Pakistan
Caos nella politica interna, crescita dell’integralismo islamico e del terrorismo (10mila vittime in un anno), ristagno nell’economia:
il Pakistan di oggi si confronta con una matassa intricata di sfide, che includono il rispetto dei diritti umani e la tutela delle minoranze religiose. A caratterizzare fortemente la storia e la società pakistana è l’islam: dopo l’Indonesia, il paese è il secondo stato al mondo per numero di fedeli musulmani (il 95% su 187 milioni di abitanti).
Benchè il fondatore della patria, Ali Jinnah, abbia voluto disegnare una nazione laica e democratica – così rappresentata nella Costituzione – negli anni successivi movimenti e partiti islamici integralisti hanno condizionato in modo sempre più incisivo la politica, la società, il sistema giudiziario e l’istruzione pubblica. A restare schiacciate sono le minoranze religiose, soprattutto i cristiani (il 2% della popolazione) e gli indù (l'1,6%), anche a causa di leggi che hanno islamizzato la società.
La
comunità cristiana in Pakistan ha un cappio stretto intorno al collo:
da tempo segnala alla comunità internazionale la "legge sulla blasfemia",
due articoli del Codice penale (295b
e 295c) che puniscono con l'ergastolo o con la pena di morte il
vilipendio al Corano e al Profeta Maometto. La Chiesa locale lo denuncia
da tempo, chiedendo l’appoggio della Chiesa universale e della Santa
Sede, che nel 2010 invia in Pakistan il cardinale Jean-Louis
Tauran, capo del dicastero per il Dialogo Interreligioso.
La
legge continua a essere strumentalizzata e per controversie personali,
mentre non mancano episodi eclatanti di giustizia sommaria a danno
delle minoranze religiose, molto vulnerabili e indifese. E ' di pochi
giorni fa l'assassinio di Roshan Masih, quaranticinquenne cristiano di Lahore,
capitale della provincia del Punjab. L’uomo, riferisce l’agenzia Fides,
aveva avuto una banale discussione con
il musulmano Sohail Akhtar su temi di natura religiosa, che includevano
un raffronto fra cristianesimo e islam. Ahhtar lo ha ucciso a colpi di
fucile, a sangue freddo, ritenendolo blasfemo. Dopo pressioni e denunce
della comunità cristiana, l'omicida è stato
arrestato, ma esecuzioni come questa più volte sono rimaste impunite,
lasciando fra i cristiani sentimenti terrore, precarietà e insicurezza.
Molte
altre sono le vittime di processi iniqui o pilotati, che marciscono in
carcere per anni: fa i casi più recenti, Younis Masih, in prigione
per blasfemia da oltre sette anni, ha subìto un grave attacco cardiaco
un mese fa e si trova in serio pericolo di vita. Fra i presunti blasfemi
è impossibile dimenticare a la storia della cristiana Asia Bibi, la
madre di famiglia condannata a morte e segregata
in carcere da oltre 1.350 giorni. Un caso di persecuzione giudiziaria
che un istituto di studi fondato da intellettuali musulmani liberali, il
“Jinnah Institute” di Karachi, ha definito “viziato da palesi
irregolarità procedurali”, oltre che da false accuse.
Negli interrogatori preliminari condotti dalla polizia, infatti, Asia
Bibi non ha avuto un avvocato, e per questo tutto il processo dovrebbe
essere invalidato. La donna, inoltre, nota l’istituto, è stata giudicata
da un tribunale “sotto evidenti pressioni
di islamici estremisti”, e “per una vendetta personale”.
Il “Jinnah Institute” è stato diretto da Sherry Rehman, parlamentare musulmana del
Pakistan People’s Party, oggi ambasciatore pakistano negli Stati
Uniti. Anche lei, personaggio di spicco della politica e della
diplomazia, sarà processata per blasfemia: lo ha deciso la Corte
Suprema, con un clamoroso pronunciamento. La Rehman fu denunciata
nel febbraio 2011 da un commerciante che la accusava di aver commesso
blasfemia durante un talk-show su
Dunya TV. Dai teleschermi la Rehman aveva difeso Asia Bibi e
aveva spiegato la proposta, da lei presentata al Parlamento pakistano,
di revisione della legge. Ma, dopo gli omicidi di Salman Taseer e di
Shahbaz Bhatti, la Rehman, minacciata di morte, aveva
ritirato la mozione. Intanto un tribunale di Lahore aveva respinto la
denuncia, e la vicenda sembrava conclusa. Ora invece i giudici hanno
dichiarato l'ammissibilità delle accuse, riaprendo la ferita della
blasfemia in Pakistan.
Dossier a cura di Alberto Chiara