04/03/2013
Sgomento, paura e pianto hanno colto i cattolici dell’Asia alla notizia che Benedetto XVI avrebbe rinunciato al ministero petrino. Il papa tedesco non ha mai viaggiato nel continente asiatico, eccetto che in Medio Oriente, Terrasanta e Libano. Ma la sua figura delicata e profonda, con parole dense che nascono dal silenzio, ha colpito molti asiatici per i quali la meditazione e la spiritualità sono la base della vera vita.
Nei messaggi ricevuti da AsiaNews vi sono buddisti che lo ringraziano per aver sottolineato il valore del distacco in un mondo che rischia di soffocare nel materialismo; musulmani che hanno appreso da lui a schierarsi con fermezza contro la violenza giustificata in nome della religione; perfino atei si sono avvicinati al rispetto per Dio, grazie alla testimonianza di questo papa che addita il fondamentalismo religioso e il relativismo laicista come i problemi più gravi per la pace nel mondo.
Dal discorso di Regensburg fino ai messaggi di questi giorni, egli mette in guardia tutte le religioni a non pretendere di affermare la verità con la violenza, ma con la testimonianza. E al mondo della dittatura del relativismo (soprattutto occidentale ma non solo), a esigere il rispetto della verità e l’apertura della ragione anche ai valori spirituali, superando il pragmatismo e il materialismo.
L’Asia, il continente più popoloso – quasi quattro miliardi di persone – che contiene le Chiese più piccole (1-2% della popolazione, oltre qualche sparuta eccezione) è segnato proprio da questi problemi. Società antiche e culture millenarie sono state investite in poco tempo dall’uragano della globalizzazione trasformando città e villaggi, creando megalopoli fino a 30 milioni di abitanti, creando ricchezza per molti, ma anche miseria per moltissimi. Questo conflitto fra il pragmatismo mercantilistico e commerciale e le religioni tradizionali spiega almeno in parte la violenza dei fondamentalisti indù, musulmani, buddisti che si vedono rifiutati dalla modernità e dal benessere di pochi.
Padre Bernardo Cervellera, direttore dell'agenzia di stampa Asianews.
Invece di trovare un modo di dialogare, frange religiose estremiste
combattono contro l’influenza “americana” (occidentale), contro lo
Stato moderno, contro il lavoro in fabbrica, le dighe idroelettriche, e
il dialogo con gli stranieri. Gli “stranieri” – e i loro alleati nei
Paesi asiatici – hanno preferito sempre programmare e costruire in nome
del profitto più alto e secondo una razionalità del potere assoluto,
dimenticando ed emarginando gli uomini e le culture.
Le Chiese dell’Asia si trovano all’incrocio di queste tensioni:
senza nessuna paura o tabù della modernità riescono a vivere la fede
negli uffici delle grandi città, ma anche nella penuria estrema delle
campagne; in contatto con culture straniere, che non demonizzano, sono
amiche anche delle culture locali. Nel loro impegno alla ricerca del
bene ovunque sia, essi valorizzano il moderno, la dignità della donna;
desiderano cambiare leggi ingiuste, come quella sua blasfemia in
Pakistan, o quelle che emarginano i dalit, gli intoccabili dell’India.
Per questo essi sono spesso visti come nemici e posti come obiettivo da
distruggere dai gruppi estremisti religiosi. In più, fra le culture
claniche, che esaltano il gruppo e la tribù sull’individuo, le Chiese
affermano il valore della persone, dell’io, della sua libertà e dignità,
creata da Dio e amata da Cristo.
Questo mette i cristiani in cattiva luce anche da parte di quei regimi atei e pragmatici –
come la Cina, il Vietnam, la Corea del nord – che hanno fatto del
potere ideologico ed economico il motivo della loro sussistenza. Va
anche detto che questi regimi sono aiutati proprio dall’Occidente
pragmatico e materialista, che ha dimenticato le sue radici cristiane.
L’Asia, con le Chiese più antiche (quella di Gerusalemme e dell’Asia minore)
e con quelle più giovani (le ex repubbliche sovietiche e la Mongolia,
di poche centinaia di fedeli), desidera un papa che faciliti questo
dialogo fra le tradizioni e la modernità; che parli in favore della
libertà religiosa, contro il fondamentalismo e il laicismo; che sostenga
l’individuo dal grembo materno fino alla morte. Insomma, un papa che
continui e completi l’opera di Benedetto XVI. E non importa che sia
asiatico o africano od occidentale: è importante che sia universale, che
in nome di Gesù sappia far dialogare i popoli e i continenti.
Bernardo Cervellera
Dossier a cura di Alberto Chiara