Ho Chi Minh City, Vietnam
In un Paese dove vige ancora il comunismo di Stato, vi è una metropoli dove si celebrano 9 mila battesimi di adulti all’anno. A Ho Chi Minh City, l’ex Saigon, capitale del Vietnam, le strade rimangono imbandierate con le effigie del celebre «Zio Ho» e i suoi inviti a «credere» nel potere del Partito e del proletariato. Ma è la Chiesa cattolica ad essere identificata dalla gente comune come il luogo della libertà e della vera solidarietà. Padre John Nguyen Van Ty, già superiore dei salesiani, consigliere del cardinale Pham Minh Manh, è esplicito: « I comunisti hanno paura dei cattolici perché sono la religione organizzata più forte in tutto il paese. Ma tra gli intellettuali, docenti universitari, studenti e giornalisti, si inizia a capire la realtà, cioè che il comunismo opprime, e vedono nella Chiesa un luogo di libertà».
Nella terra che vide l’unica sconfitta militare degli Stati Uniti i cristiani raggiungono l’8% della popolazione: il Vietnam è il secondo Paese più cattolico d’Asia per percentuali di credenti, dopo le Filippine. Seppur sotto il ferreo controllo comunista, i cattolici – 6 milioni – si impegnano con forza in azioni di carità, solidarietà e forte vicinanza ai sofferenti: «I dirigenti dello Stato hanno capito che la Chiesa non è una forza ostile e che non lavora per prendere il potere – afferma Jean-Baptiste Pham Minh Mân, cardinale di Ho Chi Minh City -. Diversi di loro mi hanno detto grazie per l’impegno della Chiesa nel campo della carità». I cristiani del Vietnam testimoniano come non siano le strutture a fare la Chiesa, ma le persone e le comunità. Si pensi, per esempio, alle tante chiese confiscate dal regime: ad Hanoi il convento carmelitano dove voleva recarsi come missionaria Santa Teresa di Lisieux è stato trasformato in un ospedale; un’altra chiesa è diventata un magazzino. Solo nella capitale si contano almeno 90 tra edifici, terreni e strutture requisiti e mai più tornati in possesso della Chiesa.
Lo conferma un vescovo di una diocesi degli Altopiani centrali, la zona dove abitano le etnie indigene, molto sensibili al cristianesimo (qui si registra il picco di conversioni alla fede cristiana). Il presule chiede l’anonimato per motivi di sicurezza: «Dalle nostre parti le autorità pubbliche hanno ancora paura dell’influenza di preti e religiosi perché vedono il cristianesimo come una forza straniera che vuole rovesciare il governo». Proprio nella diocesi di Kon Toum, il centro più importante degli Altopiani, la repressione comunista in passato è stata molto pesante: con l’arrivo dei comunisti già nel 1973 tutti gli edifici ecclesiastici, comprese le chiese, sono stati confiscati: «Non ci rimase più niente, se non la Bibbia in mano» ci confessa un religioso che visse quei tempi bui.
Di fronte a questa pressione avversa i cattolici vietnamiti non si scoraggiano, anzi: «Di recente le autorità pubbliche mi hanno scritto parole di elogio sulle suore e i religiosi che lavorano nei centri statali per malati di Aids: “Solo i cattolici hanno un cuore nell’occuparsi di questi pazienti”. Se pensiamo alla storia è proprio la carità che tocca i non cristiani» annota Pham Minh Mân. «Negli Atti degli Apostoli i pagani sostenevano che quella dei cristiani era la religione della carità. Nel XVI secolo, quando sono venuti da noi i missionari francesi, la gente diceva che portavano la religione dell’amore. Oggi accade lo stesso per bocca delle autorità comuniste».
Lorenzo Fazzini