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Per perdere i chili in eccesso guadagnati in poco tempo, molti pazienti, specie le donne, per paura dei classici farmaci anoressizzanti che sono droghe, cercano comunque una soluzione miracolosa, ma naturale. Ecco quindi che ci si affida ai farmaci dimagranti venduti in erboristeria, perché si pensa non abbiano controindicazioni per la salute. Ma non è così!
Tachicardia, ipertensione, allergie, orticaria e anche danni epatici, sono alcune delle reazioni avverse osservate dal sistema di sorveglianza dell’Istituto superiore di sanità per prodotti a base di piante officinali e integratori alimentari a scopo dimagrante. Un esempio
di effetto negativo è quello osservato dopo l’assunzione di un prodotto con arancio amaro, che contiene Sinefrina e può causare tachicardia o ipertensione. Altra sostanza a rischio è il Fucus che può stimolare la produzione di ormoni tiroidei. È rischioso anche assumere prodotti contenenti fibre.
Le fibre liquide hanno il compito, se assunte con l’acqua, di gonfiarsi nello stomaco e dare un sensazione di sazietà. È possibile che queste fibre possano portare anche a occlusioni intestinali e contemporaneamente possano alterare anche la funzionalità del fegato. È il caso della pianta Garcinia Cambogia, contenuta in un prodotto dimagrante, che ha causato una reazione letale in una donna provocandole una necrosi massiva del fegato. Effetti sul sistema nervoso sono stati rilevati per l’uso di un prodotto a base di Coleus Forskoli, una pianta risultata contaminata che ha dato luogo alla sindrome anticolinergica tipica dell’atropina, mentre reazioni avverse per la cute, come rossori, allergie e persino orticaria, sono state documentate in seguito all’impiego di prodotti contenenti Ginko Biloba. Attenzione, quindi: i miracoli non li fanno le piante. Dimagrire costa fatica ed èmeglio rivolgersi a un dietologo o almedico di famiglia.
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12 gennaio 2011 - Commenti
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Il caffè può influenzare la digestione dei carboidrati? Pare proprio di sì! Da parecchio tempo, infatti, noi nutrizionisti abbiamo evidenziato il potere protettivo del caffè nei confronti del diabete di tipo 2. Ma quali sono i meccanismi che consentono di prevenire
questa patologia? Secondo una ricerca dell’Inran, il caffè pare sia proprio in grado di inibire uno degli enzimi intestinali deputati alla digestione dei carboidrati. Questa azione potrebbe determinare un rallentamento nell’assorbimento del glucosio e attenuare così
il picco glicemico che si osserva dopo il consumo di un pasto, contribuendo alla riduzione
del rischio di diabete di tipo 2.
Lo studio si è svolto con l’utilizzo di due approcci sperimentali: uno bioinformatico e uno in vitro. Mediante tecniche di simulazione al computer, è stata valutata la capacità dei composti fenolici presenti nel caffè di legare, e quindi, inibire, gli enzimi coinvolti nel metabolismo dei carboidrati. Le simulazioni sono state poi confermate dallo studio in vitro che però ha lasciato qualche dubbio nello studio sull’uomo, tant’è che la dottoressa Fausta Natella, ricercatrice Inran responsabile del progetto, ha dichiarato che, nonostante gli studi dimostrino che un consumo abituale e moderato di caffè riduca il rischio di diabete di tipo 2, non è ancora noto con quale meccanismo la bevanda possa agire.
Si è ipotizzato che il caffè interferisca con il processo di digestione dei carboidrati, ipotesi che è stata confermata dai dati sperimentali ottenuti in vitro, e vanno confermati da uno studio in vivo condotto sull’uomo. Se questo fosse il meccanismo con cui il caffè agisce, si dovrebbe consigliare di bere una tazzina subito dopo i pasti. Facendo attenzione, però, a non abusarne e a non superare le 4-5 tazzine al giorno.
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04 gennaio 2011 - Commenti
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