Impara a desiderare ciò che hai

Non sempre il cambiamento è accolto con entusiasmo nel clima familiare. La vera sfida coincide con l'apprezzare chi si ha di fronte.

L’insistenza improduttiva

19/01/2012

Anzi – ed è il secondo strumento interpretativo di cui abbiamo bisogno per leggere la forza del cambiamento nei sistemi familiari – è assai probabile che il sistema si aggiusti, si modifichi con cambiamenti di breve respiro, che poi lasciano in fondo le cose come stanno, ma che danno provvisoriamente un po’ di ossigeno al sistema. La distinzione tra due tipi di cambiamento è preziosa per interpretare alcuni punti di resistenza propria del sistema che si vorrebbe cambiare2. Partiamo allora con la distinzione tra due tipi di cambiamento: «Ci sono due tipi diversi di cambiamento: uno che si verifica all’interno di un dato sistema il quale resta immutato, mentre l’altro – quando si verifica – cambia il sistema stesso. Facciamo un esempio di tale distinzione in termini più comportamentistici. Una persona che ha un incubo può fare molte cose nel suo sogno: correre, nascondersi, lottare, strillare, saltare da un dirupo, eccetera, ma nessun cambiamento da uno qualunque di tali comportamenti a un altro porrebbe mai fine all’incubo. D’ora in poi ci riferiremo a questo tipo di cambiamento come al cambiamento “uno”. L’unico modo di uscire fuori dal sogno implica il cambiamento dal sognare all’essere desti. L’essere desti, evidentemente, non fa più parte del sogno, ma è un cambiamento a uno stato completamente diverso. D’ora innanzi ci riferiremo a questo tipo di cambiamento come al cambiamento “due”».

Usando la metafora del sogno, i due tipi di cambiamento ci sembrano facili da distinguere, ma quando scendiamo nella realtà relazionale quotidiana le cose si complicano. Comunque, la distinzione ci è di aiuto per capire la complessità del reale, anche se questo non vuol dire che ci sia sempre identità tra capire e trovare la soluzione.

«Non passare dal cambiamento “uno” al cambiamento “due” può, in chiave relazionale, essere rappresentato dalla donna che divorzia da un uomo “debole” per sposarne uno “forte” e scopre con sgomento che mentre il suo secondo matrimonio avrebbe dovuto essere proprio l’opposto del primo, in realtà le cose non sono cambiate molto»4. Di solito, il cambiamento “uno” è ciò che gli umani fanno spontaneamente, sprecando in esso molte risorse e finendo con il fare notevoli sforzi per ottenere poco, con conseguente percezione di irritazione, talora rabbia, esasperazione e sentimento di impotenza.

Analizziamo il seguente caso tipo nella sua estrema semplificazione: il figlio di 15 anni, per la seconda volta iscritto alla prima liceo scientifico, non studia; i genitori (per semplificare ancora: la madre) hanno sperato che la bocciatura fosse un bello scossone per fargli cambiare atteggiamento di fronte allo studio; e invece no... La madre ha tentato di studiare con lui, ha chiamato in causa il padre perché provasse le lezioni al figlio, ha desistito dall’accanirsi a farlo studiare con le fatidiche parole: «Studiare è affar tuo, devi esser tu responsabile dei tuoi risultati »; ha proposto incentivi e premi, si è arresa a chiamare un insegnante che lo facesse studiare... Insomma “le ha provate tutte”, esattamente come di solito si dice chi si è accanito in cambiamenti uno senza risultati. Insieme a “le ho provate tutte”, di solito si aggiunge la colpevolizzazione: «Sei tu che non collabori, non cambi mai, ci vorrebbe così poco, cosa posso fare di più per te?».

Ecco un primo segnale: “Le ho provate tutte” è il resoconto stenografico di come ci si è limitati ai cambiamenti “uno” nella speranza che si producesse un cambiamento “due”, nel nostro caso la voglia di studiare e di essere autonomo da parte del figlio. Ma c’è una seconda spia del fatto che in famiglia ci si sta accanendo sui cambiamenti “uno” e si chiama contro- mossa, cioè porre in atto un cambiamento a condizione che anche l’altro cambi. Anche la contro-mossa è un bel gioco interattivo in cui si sprecano risorse a non finire, assai probabilmente in buona fede. La contromossa di solito finisce in un esasperato gioco di potere che sfocia nella “doppia contingenza”. Anche qui esemplifichiamo con un caso tipico: lui è un marito chiuso e taciturno: «Non ti esprimi mai – lo sollecita lei, estroversa e comunicativa – se non ci fossi io, questa casa sarebbe un funerale. Ma perché non parli? Perché non dici mai come la pensi veramente?». All’ennesima sollecitazione a parlare, lui potrebbe rispondere: «Se tu imparassi a stare un po’ zitta, a lasciarmi esprimere, io mi sentirei libero di parlare ». Al che lei direbbe con tutte le sue speranze: «Ma io tacerei, se tu parlassi! ». E lui contrapporrebbe in modo apparentemente distaccato un: «Ma io parlerei, se tu tacessi!». In altre parole, fuori da un simile esasperante gioco senza fine, ciascuno dei due fa dipendere il proprio comportamento dal comportamento dell’altro e può essere in perfetta buona fede quando “vede” il proprio estenuante desiderio che l’altro cambi, senza (voler) vedere quanto ci mette del suo perché l’altro non possa cambiare.

Siamo allo stallo di coppia e si può perfino arrivare alle nozze d’oro in questo estenuante gioco di contromosse; anche la vulgata comune aiuta a permanere nello stallo: «Non toccherà sempre a me a parlare per primo/ a! Non dovrò essere sempre io ad avvicinarmi… Non sarò sempre io ad aver torto...», e così si arriva a un quieto (troppo quieto) inferno duraturo, quanto ci potrebbero essere “colpi di vita”, di efficace cambiamento, che è proprio ciò che si desidera.

E dunque “le ho provate tutte” e “adesso è ora che cambi tu” non sono che spie di un cambiamento “uno” in atto che non porta altro che rinforzare le resistenze del sistema. Anzi, per dirla in modo un po’ perentorio: il voler che l’altro cambi è indice di impedimento al cambiamento, proprio come se uno volesse accendere un fuoco, avendo un fiammifero (il desiderio che l’altro cambi) ma sottraendo legna al fuoco invece di portarne. Ciò avviene in particolare per il sistemacoppia: voler con tutte le forze che l’altro/a cambi è indice di patologia di coppia, perché rende impossibile proprio ciò che si vorrebbe, con grandi sforzi e spreco di risorse.

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