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Il gesto di Ettore

Bella serata, qualche giorno fa, in una scuola dell’hinterland. Una platea di soli uomini. In ombra, defilate nell’antisala, le uniche due donne presenti, la preside e un’insegnante, che fanno gli onori di casa. E’ una serata rivolta ai papà: una settantina, che si interrogano sulle modalità nuove di svolgere l’antico compito della paternità.

Sono stato invitato ad iniziare un percorso di tre serate su questo tema. Sono genitori di bambini di scuola d’infanzia e di primaria, e di ragazzi di scuola media. I due incontri successivi, in forma di laboratorio, saranno realizzate dagli operatori di un Consultorio.

Il clima è diverso dal solito: bisogna trovare qualcosa di specifico per i padri, che li differenzi dalle madri. Il gioco fisico con i figli? L’autorità paterna? I rapporti con il mondo esterno alla famiglia? La gestione dell’aggressività? Oggi ormai si tratta di comportamenti equamente condivisi da padri e madri.

Mi torna allora in mente il gesto che Ettore, l’eroe troiano, compie nell’Iliade, levando verso l’alto il suo bambino. Giunto dal campo di battaglia, ha dovuto spogliarsi dell’elmo e dell’armatura perché il piccolo non si spaventasse. Ora il bimbo lo ha riconosciuto; il padre lo alza verso il cielo e prega così:

Zeus e voi altri dèi, rendete forte questo mio figlio. E che un giorno, vedendolo tornare dal campo di battaglia, qualcuno dica : “E’ molto più forte del padre”.



Qualcuno del pubblico pensa che io mi stia riferendo alla gratificazione del figlio per le sue prestazioni. E’ qualcosa di più. Non si tratta semplicemente di lodarne le qualità sportive, o intellettuali, o le capacità di relazione. Bisogna saperne ‘pronunciare il nome’, cioè dirgli la nostra stima, affermare il riconoscimento di quello che è e che sta diventando. Comunicargli la fiducia che saprà muoversi sulla strada per diventare adulto, staccandosi gradualmente dalla protezione della famiglia.

Questo compito assume diverse forme a seconda dell’età dei figli. Durante l’adolescenza, in particolare, diventa la capacità di affermare la stima per il proprio figlio (maschio o femmina che sia), per quello che sta divenendo, anche quando i risultati sono differenti dalle nostre aspettative. E’ apprezzarne lo sforzo e lì’impegno, e non solamente il risultato. E’ riconoscere quanto di più adulto e solido prende forma nelle sue scelte, nei suoi atteggiamenti, nei suoi atti. E’ sostenerlo nel fare i conti con la realtà, lasciando anche che talvolta questa lo possa ferire. Senza mai perdere di vista che diventerà adulto, o adulta, e certamente migliore del padre.

Una domanda ai padri: vi ritrovate in questo ruolo? Come pensate di realizzarlo nella relazione con i vostri figli e figlie? Che cosa pensate del dibattito sulla paternità? Mi piacerebbe ricevere i vostri pareri e le vostre esperienze.

Pubblicato il 14 dicembre 2012 - Commenti (1)

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Postato da Faè il 25/12/2012 21:10

Gentile dottore, io sono una donna, ma ho letto ciò che ha scritto di Ettore di Troia il 14 dicembre e mi è venuto in mente questo. Sono sarda, e al mio paese quando nasce un bambino si dice al padre: "Babbu diciosu", che vuol dire - diciosu è quasi intraducibile -: "Babbo reso degno di ricordo e di menzione (proprio in senso omerico!) per ciò che farà di buono il figlio appena nato". Io credo che ci sia tutto il discorso che ha fatto lei. Grazie per quello che scrive, è motivo di riflessione e di crescita per me e per mio marito, che alleviamo una ragazzina di undici anni.

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Autore del blog

Mio figlio l'adolescente

Fabrizio Fantoni

Fabrizio Fantoni, 55 anni, sposato, tre figli. Psicologo psicoterapeuta, esperto di adolescenti.

 

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