Don Sciortino

di Fabrizio Fantoni

Fabrizio Fantoni, 54 anni, sposato, tre figli. Psicologo psicoterapeuta, esperto di adolescenti.

 
27
giu

Maturi, ma in che senso?

Quasi mezzo milione di diciannovenni in questi giorni affrontano gli esami che concludono la scuola superiore. Prima le tre prove scritte, poi le interrogazioni orali. Ogni anno c’è chi si interroga sul senso di questo appuntamento : rito ormai vuoto? prova iniziatica? necessaria valutazione di conoscenze/competenze/abilità acquisite in anni di scuola?

Molti esperti concordano sul fatto che questi esami sono rimasti l’unica prova di iniziazione all’età adulta, un rito sociale che attesta la fine dell’adolescenza e il passaggio alla condizione di giovani adulti. Ci si può chiedere di che genere sia la maturità che la società, tramite la scuola può attestare.

Far coincidere l’essere persone mature con la verifica dei livelli di conoscenza o con alcune capacità di riflessione scolastica è certamente riduttivo. In questo senso, la prova che maggiormente potrebbe attestare la presenza di un giudizio maturo è la prima prova scritta, quella d’italiano. Ma essere maturo non implica solo sapere riflettere, ma anche saper scegliere e operare di conseguenza. In questo senso, meglio sarebbe considerare come segno di maturità il modo in cui i ragazzi si preparano all’esame: la tenuta, la capacità di sopportare la fatica dello studio, di tollerare le frustrazioni connesse ad un cospicuo impegno mentale, senza cercare scorciatoie…

Anche così però si vede la limitatezza del giudizio: non si può infatti lasciare alla sola scuola un compito così importante. Occorre che la famiglia faccia la sua parte. Come per la scelta orientativa a 13-14 anni, questa è una buona occasione per i genitori per fare il punto della situazione. Nell’avvio dell’adolescenza, si erano posti la domanda: «Chi è questo nostro figlio che sta cambiando?». Ora possono interrogarsi sulle capacità di scelta del proprio ragazzo o della propria ragazza.

Penso allora che l’esame di maturità possa essere una buona opportunità per valutare gli elementi di maturità dei ragazzi insieme a loro, soprattutto in questa epoca in cui la possibilità dei giovani di realizzare delle scelte appare così difficile. Non si può non riconoscere ai ragazzi stessi che l’accesso al lavoro, l’entrata nella vita attiva, con le conseguenti autonomie (prima fra tutte quella economica), è così drammaticamente incerto.

Tuttavia, i genitori possono utilizzare l’occasione dell’esame per riflettere sui figli in quanto soggetti in grado di guidare la propria vita. Di ottenere una patente che prevede una certa consapevolezza di sé, con le risorse ma anche con i limiti personali. Le proprie capacità di autocontrollo emotivo. L’impegno a migliorare le carenze di carattere. La capacità di argomentare sulle proprie scelte, valutandone i pro e i contro, che si esprime ad esempio nella decisione su che cosa fare dal prossimo settembre. Una capacità progettuale riguardo alla propria vita, che spinga lo sguardo oltre l’immediato futuro e incominci a darsi degli obiettivi da realizzare. L’autonomia, anche concreta, dalla famiglia: sapersi gestire in situazioni nuove, da soli, senza perdersi d’animo o appoggiarsi ad altri. Considerando così l’esame scolastico come il primo di una serie di ben altri esami che la vita proporrà. 

Pubblicato il 27 giugno 2011 - Commenti (1)
01
giu

Rischio bocciature

In queste settimane si va definendo il destino scolastico di molti adolescenti. Una bocciatura non è una tragedia, ma è pur sempre uno schiaffo importante. Ed è un fenomeno da interpretare, con significati diversi da ragazzo a ragazzo.

Soprattutto in prima superiore, alcuni ragazzi pagano un chiaro errore di orientamento, che si è manifestato via via nel corso dell’anno e che porta, in questi giorni, a una nuova scelta scolastica, più consapevole di quella fatta in terza media.

Qualcun altro invece manifesta nella bocciatura una immaturità di fondo, che si esprime nella difficoltà a tollerare le frustrazioni del lavoro scolastico, dell’impegno sufficientemente continuativo. Per questi ragazzi il risultato è frutto più delle proprie capacità naturali, espresse in modo immediato, che non di uno sforzo, magari prolungato. Se l’esercizio non viene al primo colpo, si chiederà domani al prof o al compagno: non si prova e riprova fino a quando non si ottiene il risultato giusto. Se la verifica va male, pazienza: andrà meglio la prossima. Non si tenta un salvataggio, magari attraverso un’interrogazione volontaria.

Dietro a questi atteggiamenti rinunciatari si può nascondere una situazione depressiva, che deriva non da un conflitto interiore, ma dalla preoccupazione di non farcela di fronte alle elevate richieste avanzate dal mondo esterno, dagli adulti come dai coetanei. Un senso di inadeguatezza rispetto alle sfide quotidiane del diventare grandi, vissute in termini di prestazioni, quindi di successi o insuccessi personali. La scuola si presta bene a far emergere queste difficoltà: essa richiede ai ragazzi di esprimere i propri atteggiamenti più adulti, come l’affidabilità, la continuità dell’impegno, il senso dello sforzo e del sacrificio. E ne considera i risultati come prestazioni, con un corrispettivo quantitativo che è il voto.
Mi sembra siano soprattutto gli adolescenti maschi ad essere in difficoltà su questo versante, perché più pressati a corrispondere a modelli sociali di forza e sicurezza.

Altri ragazzi ancora ‘scelgono’ la bocciatura come forma di protesta visibile e allarmante di fronte ad un atteggiamento eccessivamente preoccupato dei genitori riguardo ai risultati scolastici. In qualche adolescente si sviluppa l’idea che i genitori siano interessati a lui o a lei solo in quanto studente, mentre per il resto della vita (e della crescita) c’è scarsa attenzione. Far fuori simbolicamente lo studente che c’è in loro serve a questi ragazzi per punire, in modo più o meno conscio, i genitori della loro disattenzione. Un modo sicuramente autolesionista. In cui si paga pegno per una comunicazione familiare troppo centrata sulle cose da fare, sulle attività, e poco sull’essere, cioè sulle relazioni e sulle loro risonanze interne nell’adolescente.

Ci sono poi ragazzi che sono talmente centrati su un progetto personale di realizzazione di sé, nelle amicizie, negli amori, nello sport o nella musica, da pensare di bastare a se stessi senza scendere a patti con le richieste provenienti dalla realtà. Presi dal desiderio di affermarsi negli ambiti dove riescono meglio, inebriati dai propri successi, finiscono per perdere il contatto con il mondo esterno, con le sue scadenze. La scuola diventa un peso da cui liberarsi, al più un’occasione di contatti sociali, ma non un’opportunità di crescita personale attraverso la conoscenza. Le sue richieste perdono senso. Ci si sottrae e si sparisce dal suo orizzonte.

Pubblicato il 01 giugno 2011 - Commenti (1)
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