Il ruolo dei cattolici: idee, lotta e tributo di sangue

24/04/2013
Foto tratta dal sito  www.incrocinews.it.
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Il partigiano è sempre “rosso”, “comunista”, “di sinistra”. Eppure in prima fila a combattere per la libertà e poi dopo, a lavorare per la ricostruzione dell’Italia e la nascita della Repubblica, c’era anche una Resistenza "bianca". Cattolici e cattoliche che hanno dato un contributo non secondario alla lotta contro il nazi-fascismo e per lo sviluppo della vita democratica nel nostro Paese.

Enrico Mattei, capo partigiano e poi presidente dell’Eni, al primo congresso della Democrazia cristiana nell’aprile del 1946 indicò in 65mila - poi giunti a 80mila nella fase finale della Resistenza –, impiegati in 180 brigate, i cattolici che parteciparono attivamente alla lotta partigiana. «Brigate del Popolo», «Fiamme Verdi», «Volontari della Libertà», «Squadre Bianche»: sono alcuni dei nomi sotto i quali, in tutto il Centro-nord, cercarono di distinguersi le formazioni "autonome" o "indipendenti" che spesso facevano riferimento in gran parte o del tutto al Vangelo. Senza contare che in molte zone, per esempio in Liguria e Romagna, anche nelle comuniste Brigate Garibaldi spiccava cospicua una presenza cattolica.

Ma non fu solo questione di cifre. Nel panorama settentrionale, dove spiccano i nomi di Gino Pistoni, Tina Anselmi (staffetta partigiana e prima donna ministro della storia del nostro Paese), dello stesso Mattei, di Benigno Zaccagnini, Paolo Emilio Taviani, Giuseppe Dossetti, Sergio Cotta, Mariano Rumor, Ermanno Gorrieri, Giovanni Marcora, Teresio Olivelli, c’è tutta una serie di cattolici “feriali” che diventano punto di riferimento per la liberazione. Di preti che educano negli oratori e stanno accanto ai giovani. Che combattono. Alla soglia dei novant’anni padre Giulio Cittadini, sacerdote dell’istituto San Filippo Neri, mostra ancora il suo berretto da partigiano. Arruolato nella Brigata Garibaldi, fu tra i primi a entrare ad Ivrea liberata. Grande educatore e grande protagonista della Resistenza, come l’insegnante Emiliano Rinaldini, vicecomandante della Brigata Perlasca in Valsabbia, trucidato dai fascisti nei pressi della chiesetta di San Bernardo, il 10 febbraio 1945. Anche lui cresciuto nell’oratorio della Pace dove si è formata molta della resistenza bresciana e lombarda sulle orme di padre Manziana, detenuto a Dachau e poi vescovo di Cremona, del cardinale Giulio Bevilacqua, grande anticipatore del Concilio, di don Giacomo Vender, di padre Luigi Rinaldini che riceve dal suo vescovo il mandato ad accompagnare i giovani e gli studenti come cappellano delle Fiamme verdi.

Sono educatori, maestri, sacerdoti che percepiscono come coerente e consequenziale al loro impegno di fede quello di affiancare i partigiani sulle montagne. «Ribelli per amore», secondo la felice immagine di Teresio Olivelli, capaci di opporsi al nazifascismo e alla sua ideologia con una ribellione che è innanzitutto morale e spirituale, ma che, nondimeno, costa a molti di loro il sacrificio della vita.

Annachiara Valle



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