24/04/2013
I manifesti apparsi sui muri di Roma il 25 aprile 2012 inneggianti alla Repubblica sociale italiana
Ci sono pagine di storia che si ha quasi paura di sfogliare. Anche a distanza di sessant'anni. Quella dei "ragazzi di Salò" è una di queste. La polemica è sempre in agguato. L'ultima, esattamente un anno fa, quando sui muri di Roma comparvero alcuni manifesti anonimi inneggianti alla Repubblica sociale italiana con la celebre frase della Locomotiva di Francesco Guccini: "Gli eroi sono tutti giovani e belli".
«Lasciamo stare, lasciatemi stare la Resistenza», prese le distanze, indignato, il cantautore scagliandosi contro quel «revisionismo in cui qualcuno cerca di equiparare i combattenti della Repubblica di Salò ai partigiani». Fino a dieci anni fa, anche solo parlarne era un tabù. «Guai ai vinti», recita un antico adagio di guerra. Guai due volte, ai vinti, quando si cerca di restituire loro l'onore e rievocarne le storie. Tutte singolari, intime, personali. E, per questo, ben altra cosa dalla storia ufficiale.
Il primo a rompere il tabù fu nel maggio 1996 l’ex comunista Luciano Violante nel discorso inaugurale da presidente della Camera: «Mi chiedo», disse, «se l'Italia di oggi, se noi, cioè, non si debba cominciare a riflettere sui vinti di ieri». La destra applaudì, la sinistra tacque imbarazzata. Il ghiaccio però era rotto. Fiorirono racconti, memorialistica, libri e testimonianze. E polemiche. Molti repubblichini vennero allo scoperto.
Uno di questi era Carlo Mazzantini, padre di Margareth e autore di A cercar la bella morte. Arruolatosi volontario nelle camicie nere dopo l'8 settembre, combatté in un battaglione in Valsesia, a Milano assistette alle ultime ore della Rsi, infine venne catturato e liberato dopo aver rischiato la fucilazione. «Violante ha fatto una cosa senza precedenti, mettendo un mattone per ricostruire l'unità di questo Paese», dichiarò in un’intervista. «Soltanto un presidente della Camera ex comunista poteva avere il coraggio e le carte in regola per fare un discorso simile».
Qualche anno dopo, il 14 ottobre 2001, un ex partigiano come Carlo Azeglio Ciampi farà ancora di più. Da uno sperduto villaggio dell’Appennino bolognese, Lizzano in Belvedere, a pochi chilometri da Marzabotto, il presidente della Repubblica fece un discorso che andava molto al di là della pietas per i vinti. «Questa unità nazionale che sentiamo essenziale per noi», scandì davanti a molti partigiani tra cui Enzo Biagi, «quell'unità che, in fondo oggi, a mezzo secolo di distanza, dobbiamo pur dirlo, era il sentimento che animò molti dei giovani che allora fecero scelte diverse; che le fecero credendo di servire ugualmente l'onore della propria Patria». Era un altro, coraggioso tentativo di sanare la frattura di popolo creatasi l'8 settembre 1943, data che per alcuni segna la «morte della Patria», mentre per altri come lui coincide invece con la sua «rinascita». Imbarazzo dalla sinistra che grida alla «riabilitazione impossibile», gratitudine dalla destra.
Antonio Tabucchi sull’Unità si scaglia apertamente contro Ciampi: «Ha pronunciato parole improponibili per una Repubblica nata dall’antifascismo», scrive. Ma a raccontare quei destini, a dire che sì, si può combattere con l'eroismo della passione, ma dalla parte sbagliata, arriva nel 2001 un altro cantautore vicino alla sinistra, Francesco De Gregori. E racconta la storia attraverso gli occhi tristi di un subalterno, un innocente, Il cuoco di Salò: «Se quest’acqua di lago potesse ascoltare / quante storie potrei raccontare stasera / quindicenni sbranati dalla primavera / scarpe rotte che pure gli tocca di andare / Che qui si fa l'Italia e si muore / Dalla parte sbagliata / In una grande giornata si muore / In una bella giornata di sole». Qualcosa, però, è mutato. In libreria arrivano molti testi, il dibattito è aperto.
Giampaolo Pansa, autore di sinistra, solide radici nell’antifascismo, scrive I figli dell’aquila. Mazzantini pubblica un libro a metà tra memoir e pamphlet politico: I balilla andarono a Salò per raccontare l’avventura di quell’armata di adolescenti, tra cui lui, partiti per arruolarsi con i "neri". Nel gennaio 2006, al tramonto della XV legislatura, Alleanza nazionale presenta una proposta di legge, poi finita nel nulla, per riconoscere lo status di militari belligeranti ai repubblichini equiparandoli alle forze combattenti della Resistenza. Sinistra e associazioni partigiane insorgono. Quella dei "ragazzi di Salò", d’altronde, è materia incandescente. È storia di padri e figli, di album di famiglia, di destini spesso intrecciati e di doveri da compiere. E di una pacificazione nazionale che ancora oggi tarda ad arrivare.
Antonio Sanfrancesco
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