03/04/2012
Una famiglia indiana (foto e foto copertina Corbis).
Prima degli anni Ottanta, alle bambine indiane veniva riempita la bocca di riso per soffocarle, o venivano ammazzate con grosse dosi di oppio. Oppure, più semplicemente, abbandonate e lasciate morire di fame. Poi è arrivata la tecnologia. Ovvero, l'ecografia. E lo “sterminio” è diventato più semplice ed efficace. Oggi in alcuni villaggi della regione indiana del Punjab, dove manca ancora l'acqua potabile e trovare un'aspirina è impresa quasi impossibile, si possono fare diagnosi ecografiche per scoprire se è un maschio o una femmina. Se il fiocco è rosa, l'epilogo spesso è scontato, soprattutto quando si tratta del secondo o del terzo figlio. «L'aborto», scrive la biologa e giornalista scientifica Anna Meldolesi in Mai nate. Perché il mondo ha perso 100 milioni di donne (Mondadori, pp. 208, € 16), «è ormai diventato il nuovo potente motore del genericidio».
Meldolesi non cade, per fortuna, nella trappola delle polemiche ideologiche tra difensori e detrattori della legge 194 che dal 1978 regola in Italia l’interruzione di gravidanza. Il suo studio è asettico, resta attaccato ai numeri e alla ratio stringente dei fatti. Che dicono che lo sterminio delle bambine è diventato ormai un fenomeno globale. Dalla Cina, dove un’ideologia terribile i figli li vuole unici, maschi e perfettamente sani, all'India, dove la pubblicità martellante degli esami prenatali avverte che “cinquemila rupie oggi ti permettono di risparmiarne cinquantamila domani”, il problema è dilagato in molti Paesi del Sudest asiatico. Poi, attraverso i flussi migratori, ha attecchito anche in Occidente, Italia compresa. Dall’ex Jugoslavia e l’Albania fino ai paesi dove ci sono forti flussi migratori come Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna e Norvegia. Facilitate dall’assistenza medica offerta dai paesi dove si sono recate, le immigrate continuano a praticare l’antica selezione sessuale in uso nei Paesi d'origine.
Antonio Sanfrancesco