Suicidi, la strage silenziosa

28/03/2013

Domenico Antonio Pagano, 46 anni, si è impiccato il 17 marzo nella casa di reclusione di Opera (Milano). Da inizio mese, è il sesto suicidio nelle carceri italiane e altri 3 detenuti sono deceduti per cause in corso di accertamento.

Il 4 febbraio, aveva fatto discutere il caso di Natale Coniglio, operaio 42enne originario di Stilo (RC), impiccatosi nella sua cella di Noto (SR). Era stato condannato per furto e ricettazione e la sua famiglia aveva più volte fatto presente agli organi giudiziari la fragilità psicologica di Natale, chiedendo la detenzione domiciliare in una clinica specializzata per scontare il resto della pena. Il rigetto dell’istanza e il trasferimento dal carcere di Locri a quello di Noto sono stati la goccia che ha fatto traboccare il vaso.

Nello scorso anno, sono stati i mesi estivi quelli più drammatici. Un quarantenne italiano, che soffriva di disturbi psichici, si è suicidato il 30 agosto, impiccandosi con la cintura del suo compagno di cella, nel carcere di Udine.

Il 5 agosto, invece, Valentino Di Nunzio, 29 anni, è morto, dopo sei mesi di agonia, per essersi buttato “di testa” dal letto a castello della sua cella. È stato il quarto detenuto morto suicida nel carcere di Teramo in otto mesi. Il 1 agosto, nella casa circondariale di Alba, un cinquantenne albanese si è ucciso con una rudimentale corda ottenuta annodando le lenzuola. “Io là dentro non ci torno”, ha detto anche Emanuele Grisanti, padre di un bambino di 4 anni, recluso a Roma, prima di impiccarsi ad un albero nel cortile dell’ospedale in cui doveva essere operato di calcoli. 

In tutto, secondo l’Osservatorio permanente sulle morti in carcere, nel 2012 sono stati 60 i detenuti che si sono tolti la vita e 154 i morti dietro le sbarre, mentre per il 2013 siamo già a 44 “morti di carcere”, di cui 14 per suicidio Nell’Italia delle celle, si muore da Nord a Sud, senza differenze di età e di reati commessi. Ma anche senza distinzione di ruoli: 9 agenti di polizia penitenziaria si sono uccisi lo scorso anno.

Numeri che parlano di un forte malessere “al di là del muro”, dove vivono 100mila persone, tra carcerati e carcerieri. Un mondo in cui dovrebbero farsi strada la rieducazione, la legalità, il rispetto della dignità, per restituire alla società persone libere e responsabili. Per produrre, in definitiva, più sicurezza. Questo è il senso della pena detentiva, il significato imposto dalla Costituzione e dalle successive scelte riformatrici. Eppure, la realtà è lontana anni luce. Il Ministro Severino ha tempo fa usato l’espressione “gironi infernali”, mentre Lucia Castellano, ex direttrice del carcere modello di Bollate, ha parlato di “cimitero dei vivi”. Sicuramente, ed è un paradosso, “fuorilegge”. Un anno fa, la Corte Europea dei Diritti umani ha condannato l'Italia per aver detenuto persone in meno di tre metri quadri. Tortura e trattamento inumano e degradante secondo l’articolo 3 della Convenzione Europea.

Dal 1990 ad oggi, infatti, la popolazione carceraria è più che raddoppiata, passando da 25mila a oltre 66mila persone. Il 36% è detenuto per violazione della legge Fini-Giovanardi sulle droghe. Ma nelle 206 carceri italiane non c'è abbastanza spazio: ci sono 145 persone ogni 100 letti disponibili, 21mila detenuti in più. Siamo il Paese più sovraffollato d’Europa. La situazione è drammatica da Nord a Sud: alla Puglia, con il 188,8%, spetta la maglia nera del sovraffollamento, seguita dalla Lombardia e dalla Liguria.

Nel mese di agosto, l’associazione Antigone, che dal 1991 tutela i diritti dei detenuti, ha lanciato l’iniziativa “in carcere nella calda estate italiana”: i volontari sono andati a monitorare la condizione di vita interna, gli spazi a disposizione, lo stato delle strutture, e hanno diffuso un report dopo la visita. Una delle situazioni più critiche è a Messina; qui, con un sovraffollamento del 200%, alcuni detenuti vivono in uno spazio inferiore ai 2 metri quadri a testa, “per stare in piedi – rilevano da Antigone – bisogna fare i turni”. Nella sezione femminile, dove vive anche una bambina di due anni e mezzo, “le celle e i corridoi presentano crepe sui muri, intonaco scrostato, gelosie di vetro alle finestre, muffa e umidità nei bagni.

Le docce sono in comune e l'acqua calda nelle celle non è disponibile: le detenute lamentano di doversi lavare con le bottiglie”.

Stefano Pasta

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