Strategie militari: la "no fly zone" funziona, ma ciò che conta è il controllo del territorio

20/03/2011

Come avevamo previsto, per dare concreta applicazione alla “no fly zone” e al cessate il fuoco deciso dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la coalizione internazionale ha dovuto attaccare le forze di Gheddafi. Alla distruzione di alcuni blindati nell’area di Bengasi ad opera di cacciabombardieri francesi è seguita l’incursione dei Tornado inglesi (giunti direttamente dalla madrepatria con un lungo volo) e il lancio di ben 112 missili da crociera Tomahawk dalle navi americane per distruggere il sistema di difesa aerea e i centri di controllo e comando.

Altre azioni seguiranno nelle prossime ore, a meno che il colonnello di Tripoli non cessi la repressione militare della rivolta. Difficile immaginare che cosa accadrà sul piano militare: la coalizione ha il dominio dell’aria e sarà difficile per Gheddafi mettere in campo mezzi corazzati o artiglieria pesante, facili bersagli per gli aerei. Questo dovrebbe riequilibrare i rapporti di forza fra il rais e i suoi oppositori, ma la guerra civile in atto nel Paese potrebbe durare ancora a lungo.

Il controllo dei cieli è un elemento chiave, ma ciò che conta davvero in ultima analisi è il controllo del territorio. E questo richiede l’impiego delle forze di terra: qualcosa che andrebbe al di là delle intenzioni dell’Onu, della Lega Araba e, soprattutto, che creerebbe enormi problemi alla coalizione. Sia sul piano strettamente militare sia su quello politico. La spallata definitiva al regime di Gheddafi, insomma, è probabile che i libici dovranno darla da soli.

La “no fly zone” nei cieli della Libia dal punto di vista strategico-militare, cioè il divieto di volo per gli aerei di Gheddafi, è una mossa che richiede un complesso schieramento, a cominciare dai “radar volanti Awacs” e dai “tanker”, gli aerei cisterna per il rifornimento in volo. Impossibile al momento prevedere le reazioni del dittatore di Tripoli e immaginare come si evolverà la situazione. Ed è anche difficile avere informazioni sulle forze sul campo.

Sulla carta le forze aeree libiche contano circa 370 aerei. Fra questi, una trentina di Mirage F1 e circa 150 fra Mig 21, Mig 23 e Sukoi 22. Cacciabombardieri supersonici che risalgono agli anni ’70. Ancora temibili, ma falcidiati da problemi di manutenzione. Più preoccupanti sono i missili terra aria della difesa aerea. Una minaccia della quale occorre tenere conto. E che potrebbe richiedere un attacco sia contro le batterie missilistiche sia contro i radar e i centri di controllo.

Già, perché se in teoria l’istituzione di una “no fly zone” assomiglia più a un’operazione di polizia che a un’azione militare, nella pratica un attacco diretto a sopprimere le difese aeree libiche potrebbe essere necessaria per assicurare l’incolumità degli aerei radar e dei caccia francesi e della Nato. Per questa ragione, accanto a caccia intercettori Eurofighter Typhoon ed F16 Adv, la nostra aeronautica ha rischierato a Trapani Birgi i Tornado del 50° stormo di Piacenza e del 6° stormo di Ghedi: bombardieri supersonici specializzati nell’attacco condotto a bassissima quota, volando al di sotto della copertura dei radar di terra.

                                                                                                  Giancarlo Riolfo

A cura di Pino Pignatta
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