Vittorio Emanuele Parsi: «La questione libica è un'opportunità per ripensare una politica comune nel Mediterraneo»

20/03/2011

Per il Colonnello non c'è via di scampo e, secondo il Consiglio Nazionale Libico, ha addirittura le ore contate. L'Europa ha assunto una posizione netta, definitiva, che non ammette un dietro front. «Gheddafi ormai è un nemico, un fuorilegge. Per l'Italia e per l'Europa non c'è altra strada: il Colonnello deve andarsene». A parlare è il professor Vittorio Emanuele Parsi, docente di Relazioni internazionali all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, che analizza i risvolti geopolitici dell'intervento in Libia e gli scenari futuri che questa crisi potrà aprire.

Professor Parsi, Gheddafi agita lo spauracchio di Al Qaeda, minacciando addirittura di allearsi con il terrorismo contro gli europei. In realtà abbiamo visto come, nelle rivolte del mondo arabo, Al Qaeda abbia mantenuto una posizione molto defilata.
«Il movimento di Al Qaeda è stato molto fiaccato dalla guerra in Irak, si è fortemente indebolito. Ha subìto una decimazione a livello politico e come struttura. La verità è che se Gheddafi restasse al potere il rischio sarebbe che i gruppi che si sono opposti al suo regime, sentendosi sconfitti e abbandonati dall'Europa, potrebbero lasciarsi attrarre nell'orbita di Al Qaeda e ritorcersi contro non solo Gheddafi ma anche contro noi europei che non lo abbiamo abbattuto. Quindi Al Qaeda diventerebbe una minaccia proprio se Gheddafi restasse al potere e non il contrario. La risoluzione Onu 1973 è chiara: Gheddafi è stato bollato come nemico, è stato dichiarato fuorilegge dalla comunità internazionale. Gheddafi tenterà il tutto per tutto, sa che non può fermarsi, perché se si ferma perde. Nelle sue mani il Colonnello ha un'arma molto più destabilizzante del petrolio o del terrorismo: il rubinetto dell'immigrazione di massa verso l'Europa».

Barack Obama ha lasciato che gli europei, in questo caso, si assumessero la responsabilità e gestissero l'intervento. Perché questa posizione?
«In tutta la crisi del mondo arabo l'amministrazione Usa ha dimostrato una grande difficoltà di lettura e analisi, un ritardo nel'affrontare la crisi maghrebina, a partire dai fatti della Tunisia. La capacità americana, poi, di agire negli eventi egiziani è stata imbarazzante. Gli Stati Uniti hanno perso la capacità di pressione in Medio Oriente. Altro problema: l'America è impegnata su altri due fronti, l'Irak e l'Afghanistan. In questo momento Obama non ha interesse a esporsi troppo sul fronte libico. Inoltre, la questione libica è oggettivamente più europea che americana: i francesi adesso non hanno interessi economici in Libia, ma potrebbero cominciare ad averne con una nuova amministrazione libica; la Germania non ha interessi e, d'altronde, prosegue la sua tradizione pacifista. L'Italia è il Paese più esposto: se Gheddafi dovesse decidere di vendicarsi, contro chi lo farebbe? Ovvio, contro il Paese che gli sta più vicino. L'Italia inoltre ha sempre avuto una posizione solida in Libia. Ma una volta che ci siamo allineati con l'Onu e abbiamo "scaricato" Gheddafi, se il Colonnello rimanesse, le nostre posizioni economiche ormai sarebbero perse e irrecuperabili. Ci conviene quindi favorire un ricambio politico: i nuovi amministratori ci guarderebbero come quelli che hanno aiutato la cacciata di Gheddafi, alla pari degli altri Paesi europei. Ma con un vantaggio per noi: cioè che contiamo già su rapporti forti con i libici». 

La Lega araba si è allineata con Onu, Stati Uniti e Unione europea; l'Iran non ha approvato la no-fly zone ma ha condannato le azioni di Gheddafi.  Stiamo assistendo a una ridefinizione dei rapporti geopolitici tra Occidente e mondo arabo?
«Tutta la crisi araba non era prevista, ci ha colto di sorpresa. E noi europei la osservavamo con l'idea di rimanerne fuori, di non interferire. Poi, il mondo arabo ha chiesto agli occidentali di intervenire: agli occhi degli arabi Gheddafi è un po' come Saddam Hussein nel 1991, quando ha invaso il Kuwait, una sorta di paria, di leader che si messo contro tutti. Così, il mondo arabo ha detto agli occidentali: questa crisi riguarda anche voi. La sponda Sud del Mediterraneo ha invocato l'intervento della sponda Nord. Questa crisi, in qualche modo, ci fa capire ancora meglio quanto europei e arabi siano vicini e interdipendenti e può diventare un'opportunità per ridisegnare i rapporti tra Paesi mediterranei, per fondare una nuova responsabilità politica comune nel Mare nostrum che - ovviamente con i suoi tempi - porti a ripensare tutto il sistema di rapporti, dall'economia fino alle politiche migratorie. La richiesta di aiuto del mondo arabo segna un'apertura di credito verso noi europei. Non dobbiamo sprecare questa occasione».

     Nel frattempo, i rapporti fra Europa e Usa da un lato e Paesi arabi dall'altro si sono inaspriti. A 24 ore dall'inizio dei raid, il Segretario generale della Lega araba Amr Moussa ha duramente criticato l'intervento militare e denunciato i bombardamenti. La Lega araba aveva chiesto aiuto all'Occidente; ma per la creazione di una no-fly zone, senza ricorso alla forza. Uno spinoso "equivoco" che potrebbe rendere l'operazione "Odissea all'alba" ancora più dura.        

                                                                                      Giulia Cerqueti

A cura di Pino Pignatta
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