13/02/2013
Foto Ugo Zamborlini.
Parla come dipinge. Distilla vocaboli e silenzi con la stessa studiata cura che usa nello scegliere i soggetti, i colori,le ombre e la luce dei suoi quadri.Francisco José Gómez Argüello. ma a tutti noto semplicemente come Kiko, racconta sé stesso e il Cammino Neocatecumenale nel Centro internazionale Servo di Jahvè di Porto San Giorgio, in provincia di Fermo, davanti a un’opera in cui ha dipinto le principali tappe delle vicende terrene di Gesù, dalla mangiatoia di Betlemme alla tomba vuota, sigillo della Risurrezione, oltre venti metri di storia sacra che per tratto e per accostamenti cromatici paiono un compendio della pittura occidentale, da Giotto a Matisse e a Picasso.
– Povertà, abbrutimento morale, sostanziale ignoranza di Dio: il Cammino Neocatecumenale cominciò a prendere forma negli anni Sessanta nella periferia più misera di Madrid. Cosa spinse un borghese di buona famiglia come lei ad andare a vivere in quel contesto?
«Nella mia vita ho avuto diversi incontri con il Signore. Uno dei più importanti è stato quello con la sofferenza degli innocenti. Avevo il mio studio di pittore vicino a Plaza de España, a Madrid. Il Natale ero solito festeggiarlo con i miei genitori. Un anno, entrato in cucina, vidi la donna di servizio dei miei che piangeva».
– Cos’era successo?
«Suo marito era un alcolista. Picchiava i figli.Il più grande affrontava talvolta il padre con un coltello. Aveva il terrore che si uccidessero. Io non sapevo come aiutarla. “Venga a parlare con mio marito”, mi chiese. Andai e rimasi colpito dal posto dove vivevano,un sobborgo polveroso e sporco. Io, che mi ero già avvicinato alla fede e alla Chiesa, ma ero ancora tormentato da mille dubbi, l’accompagnai dai Cursillos de cristiandad. Lui si stupì nel vedermi parlare di Gesù Cristo.Accettò di provare a smettere di bere, cosa che gli riuscì per qualche mese. Poi, purtroppo,ricominciò. Faceva lo spazzino. L’abitudine era di buttar giù un bicchiere alla fine del turno. I bicchieri diventavano però anche due, tre, quattro... Quando tornava a casa ubriaco, era violentissimo. Sua moglie allora mi chiamava. Io ero l’unico che ascoltava.Non si poteva, però, andare avanti così».
Foto Ugo Zamborlini.
– Cosa decise di fare?
«Pensai che Dio mi stava chiedendo di stare con quella famiglia aiutando
lui a tenere il lavoro, vincendo la schiavitù dell’alcol, e difendendo i
deboli di quella casa: quella donna e i suoi figli. Ruppi gli indugi.
La cucina era piena di gatti. Miseria e degrado regnavano dentro e
fuori. Ero tormentato: perché quella gente soffriva così tanto? Perché
Dio permetteva quel calvario? La mente e il cuore erano lacerati dai
concetti di coloro che,nel mio periodo agnostico, consideravo maestri:
Friedrich Nietzsche, Albert Camus e Jean-Paul Sartre».
– Cosa intende di preciso?
«Parafrasando Nietzsche si poteva affermare:“Se Dio non vuole aiutarli è
un mostro; se non può, non esiste”. Frasi velenose. Poteva Dio aiutare
quella donna oppure no? Perché non lo faceva? Dio esiste? Alla fine
lasciai perdere tutte queste domande. Sa cosa vidi? In quella signora ho
visto Cristo, così come ho visto Cristo nella donna con il Parkinson,
abbandonata dal marito e con un figlio pazzo,che lì vicino trascinava
una grama esistenza vivendo d’elemosina. Vidi il mistero di Cristo che
assume su di sé il dolore del mondo e lo redime. La ricerca
intellettuale e filosofica di Dio mi avevano fatto arenare. L’incontro
coni poveri, gli emarginati, i sofferenti; il progressivo svuotamento
interiore; le umiliazioni:fu allora che Dio si manifestò. Ebbi l’intima
certezza che esisteva. Ed era amore. Restai enormemente sorpreso, lo
dico sinceramente.Ma mi sentii contemporaneamente rasserenato. E libero.
Se Dio esiste, esisto anch’io. Poi mi chiamarono per il servizio
militare e mi mandarono in Africa».
– Ritornato a Madrid andò tra gli zingari...
«Un’assistente sociale mi indicò la zona di Palomeras Altas dove, tra le
altre, c’era una baracca di tavole di legno. Mi disse: “Mettiti lì”. Mi
sono trasferito con una Bibbia e la chitarra.E lì, tra zingari,
prostitute e relitti umani ha avuto inizio un po’ tutto. Era il 1964.
Nelle baracche io volevo vivere come Charles de Foucauld, in
contemplazione, in adorazione di Gesù crocifisso negli ultimi.
Pensavo:se domani ritornasse Cristo, vorrei che mi trovasse ai piedi
degli innocenti crocifissi dai peccati degli altri. Così me ne andai a
vivere tra i poveri».
– Non ha proseguito con i Cursillos de Cristiandad. Non sì è fatto
Piccolo fratello di Charles de Foucauld. Ma ha dato inizio al Cammino.
Come mai?
«Devo molto a entrambe le esperienze. Mi
pare di poter dire che è Dio ad aver voluto
che io – insieme ad altri, soprattutto a Carmen
Hernández, che è stata molto importante
per la sua formazione teologica e missionaria
– potessi mettere a punto una nuova sintesi
teologico-catechetica. I poveri ci hanno
obbligato a elaborare nuove forme di predicazione.
Una volta, un capo zingaro mi portò
in una grotta annerita dal fumo delle candele
e del carbone usati per far luce e per scaldare.
Mi chiese di parlare di Dio davanti a tanti
altri zingari lì convenuti. Io non mi sentivo
degno, facevo resistenza. Sua madre tagliò
corto: “Ha mai visto un morto tornare dal cimitero?
Mio padre è sotto terra, mio nonno
anche. Lei ha visto qualcuno tornare in vita?
No? Allora io non l’ascolto”. Quella donna
ha stimolato me e noi tutti a riscoprire il kerigma,
parola greca con cui si indica il cuore
del messaggio evangelico: l’annuncio del
Dio che si fa uomo, muore e risorge per la nostra
salvezza».
Foto Ugo Zamborlini.
– Che cos’è il Cammino?
«È un’iniziazione cristiana. Di fronte a un
mondo completamente secolarizzato, che ha
smarrito Dio, occorre capire a fondo cosa voglia
dire credere. Il Cammino ha diverse tappe
e può durare anche trent’anni, il tempo
che separa la nascita di Gesù dall’inizio della
sua predicazione pubblica. Scende molto nel
concreto. Come si manifesta la natura divina
che abbiamo ricevuto in dono? Penseremo
mica che basti andare a Messa alla domenica
o pregare di tanto in tanto? Per esempio: come
viviamo il richiamo al perdono dei nemici
e a non porre resistenza al male? Tutto il
Cammino si fonda sulla parola di Dio, sulla
liturgia e sulla comunità, tre realtà indissolubilmente
legate che chiamiamo “tripode”».
– Ponete molta attenzione alle famiglie.
«È uno degli esempi più belli di relazione e
di amore. Oggi il Cammino conta 842 famiglie
partite missionarie nei vari Continenti, figli
al seguito, una cinquantina di esse è andata
in Cina».
– Anni fa alcuni hanno avanzato il dubbio
che ripeteste addirittura il Battesimo...
«No. È vero invece che approfondiamo i vari riti che compongono il
Battesimo affinché tutti siano consapevoli di ciò che significa e di ciò
che comporta essere creature nuove nel Signore».
– Siete radicati in molte parrocchie. Qua e là sorgono problemi...
«Noi offriamo la nostra esperienza pronti a collaborare con i parroci
che, tra l’altro,sanno di poter contare sul nostro essere approdo per
molti non credenti, i cosiddetti“lontani”. Le incomprensioni, quando ci
sono,spesso nascono dalla non conoscenza di chi siamo e di ciò che
facciamo. Vale anche per quei vescovi che ci osteggiano. La Chiesa,madre
e maestra di tutti, ci ha seguito e incoraggiato nelle persone dei Papi
degli ultimi decenni: Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI».
– E con le altre realtà ecclesiali come va? Collaborazione,competizione o scontro?
«Siamo in comunione con Cl, l’Opus Dei e tante altre forme di realtà
comprese la Comunità di Sant’Egidio e i Focolarini. Certo: se qualche
realtà cessa di avere come bussola Bibbia e Magistero scegliendo altri
punti di riferimento più mondani o più politici non ci avrà al suo
fianco».
– L’arte: è una via o un ostacolo per arrivare a Dio?
«L’arte è una manifestazione, un’espressione dell’amore. L’arte è
relazione. E rimanda alla relazione su cui si fonda la Trinità. E la
Chiesa. Prendiamo esempio dalla creazione così come ci viene presentata
dal Libro del Siracide,al capitolo 42: “Tutte le cose sono a due a due,
una di fronte all’altra, egli non ha fatto nulla d’incompleto. L’una
conferma i pregi dell’altra: chi si sazierà di contemplare la sua
gloria?”. Nella mia evoluzione personale sto cercando di coniugare il
più possibile la pittura occidentale con quella orientale,affascinato da
quest’ultima che non ha prospettiva,non ha punto focale, non calcola
proporzioni, non si presenta come una finestra dischiusa da cui
sbirciare il sacro, ma, come dire, comunica con serena certezza una
notizia: Dio c’è, si presenta, eccolo».
– Come state vivendo l’Anno della fede?
«Affiancando l’attività ordinaria con eventi speciali. Pensiamo di
annunciare il Vangelo in strada. Tra Pasqua e Pentecoste, solo a Roma lo
faremo in cento piazze».
Alberto Chiara
Alberto Chiara e Paolo Perazzolo