05/05/2011
Non desiderare la donna d’altri. Nel nono episodio del Decalogo Krzysztof Kieslowski mette in scena un altro dei suoi casi inquietanti (scopertosi impotente, un uomo si interroga sulla validità del proprio matrimonio), uno di quegli interrogativi che, proprio per l’eccezionalità sollevata, tendono a disattivare la norma e a spuntarne l’effetto rendendola sterile. E’ il tipico paradosso che ama Kieslowski e che, pur senza porre in dubbio la legge mosaica, solleva dubbi sulla sua attualità mettendola a confronto con un presente pieno di incognite e di imprevisti. All’uomo del nostro tempo e alla sua razionalità il compito di trovare i fili di un ragionamento capace di smontare i dubbi suscitati dal suo spirito critico.
Chi amava situazioni analoghe e nel contempo aveva dimostrato di possedere buone nozioni di teologia morale era Billy Wilder (origini austriache, educazione cattolica), che considerava l’adulterio un peccato contro la giustizia. Usò questa espressione per La fiamma del peccato (ma il titolo originale era Double Indemnity), dove dietro un archetipo del “noir” (non a caso sceneggiato da Raymond Chandler) l’adulterio fungeva da premessa a un omicidio e a una truffa ai danni di un’assicurazione.
Nello stesso periodo (siamo nel vivo della seconda guerra mondiale) Luchino Visconti gira Ossessione, storia del tutto simile e non a caso dovuta a un altro scrittore del realismo sociale americano, James Cain, che nel tradimento coniugale individuava il simbolo del profondo malessere di un’epoca e di una società civile che si stavano dibattendo in una crisi morale senza prospettive.
Lo stesso dramma di esseri sbandati, incerti e smarriti, persi in desideri smodati e incontrollati si riversa in molti film che hano lasciato tracce indelebili nella storia del cinema. Si pensi a Michelangelo Antonioni e a Cronaca di un amore (la foto di copertina di questo articolo è appunto una scena del film, con Massimo Girotti e Lucia Bosè), dove il senso della colpa si manifesta proprio quando non c’è più alcun intralcio a una relazione adulterina. Oppure si pensi a Pietro Germi e al suo L’uomo di paglia (con il carico di tormento morale che l’insensibilità e la mancanza di responsabilità portano con sé), ma soprattutto a I bambini ci guardano di Vittorio De Sica (dove il giudizio che condanna il mondo degli adulti è quello dell’innocenza).
L’offesa che la perfidia e l’inganno rivolgono ai sentimenti fondati sull’eterna promessa sono ripagati con la stessa moneta in Niagara di Henry Hathaway (con Marilyn Monroe nel ruolo della “dark lady”), dove l’inferno sembra chiudersi sul classico triangolo inghiottendo sia gli empi (i due amanti) sia il marito di lei nel ruolo dell’angelo vendicatore. Il film è del 1953, quando imperava l’autocensura dell’industria cinematografica amaricana e il Codice Heys stabiliva che “l’adulterio non dovrà essere giustificato né mostrato come lecito e ammissibile”.
A Kieslowski (morto nel 1966) non sarebbe di certo sfuggito l’abisso che separa questo film da altri prodotti dalla stessa industria circa sessant’anni dopo. Film in cui al senso di giustizia si sostituisce la contropartita dell’avidità (nell’Uomo che non c’era dei fratelli Coen, 2001, il barbiere interpretato da Billy Bob Thornton ricatta l’amante della moglie per procurarrsi diecimila dollari) e un malinteso senso di liberazione della donna (ancora un film interpretato da Billy Bob Thornton nello stesso anno, Bandits di Barry Levinson, un Gangster Story che ironicamente strizza l’occhio a Jules e Jim). In entrambi i tre lati della tradizionale figura geometrica (marito, moglie, amante) spengono sul nascere il peccato contro la giustizia dell’amore.
Enzo Natta