Il terzo Comandamento al cinema

"Ricordati di santificare le feste": dal Decalogo di di Krzysztof Kieslowski a una serie di pellicole dove la fede trionfa e si traduce nel bisogno di preghiera e di comunità.

25/03/2011
La locandina del celebre film del regista polacco Krzysztof Kieslowski, che in dieci episodi interpreta i Comandamenti.
La locandina del celebre film del regista polacco Krzysztof Kieslowski, che in dieci episodi interpreta i Comandamenti.

Ricordati di santificare le feste. Il numero 3 del Decalogo di Krzysztof Kieslowski parte ancora una volta da una provocazione: una donna costringe l’amante, sposato e con prole, a trascorrere con lei la vigilia di Natale. Kieslowski preme l’acceleratore dell’assurdo con situazioni al limite del grottesco per far risaltare le profonde contraddizioni dell’uomo d’oggi, vittima della sua irresponsabilità, ma primancora della sua fragilità e meschinità.

Su un crinale per certi versi simile si incammina anche La messa è finita di Nanni Moretti, dove un prete afflitto dal dubbio sull’utilità della sua missione sacerdotale è combattuto fra il sentimento religioso che lo anima e l’impotenza che sembra imbrigliare il suo ruolo pastorale. Fino a dimenticare, conseguentemente, di santificare le feste. O a farlo nel modo sbagliato. La festa, il giorno del Signore, la preghiera come dialogo dell’uomo con Dio.

Tutti motivi che si ritrovano in Andrej Rublev. La forza della fede trionfa in pieno nel film di Andrej Tarkovskij ed esplode in tutta la sua magnificenza nella sequenza della campana, dove sull’onda dell’affetto e della memoria che lo lega al ricordo del padre scomparso un ragazzo riuscirà a fondere il bronzo di una campana che, issata a fatica su un campanile di fortuna, suona a distesa per annunciare l’avvento della salvezza e della liberazione.

La potenza dirompente della fede che si traduce nel bisogno di preghiera e di comunità con il trascendente è un tema che si è manifestato in film pur diversi fra loro per genere e qualità. E’ il caso di Dio ha bisogno degli uomini del francese Jean Delannoy e della Mano sinistra di Dio dell’americano Edward Dmytryck, entrambi vertenti sulla figura di un laico che celebra funzioni religiose e indossa l’abito talare dietro le ripetute richieste di assistenza spirituale da parte di uomini momentaneamente privati di una guida sacerdotale.

Non può essere neppure tralasciato, nonostante la sua veste allegorica, Il pranzo di Babette del danese Gabriel Axel (da un romanzo di Karen Blixen), dove dietro il sontuoso pranzo offerto da una domestica francese alle sue padrone, si profila il valore simbolico di un pranzo di ringraziamento, una eucaristia laica (nel senso etimologico del termine, “rendimento di grazia”) celebrata in nome dell’amore fraterno.

Il ricordo della festa, e dunque il richiamo alla preghiera e al dialogo con Dio, prorompe infine, senza contrasti e senza incertezze ma soltanto nella gioia che può offrire una fede autentica e genuina, da una serie di film ispirati, dove la vita monastica e contemplativa, fatta di preghiera e di raccoglimento, è messa in scena con rara convergenza di rigore stilistico e intensità poetica. Fra questi i recenti Uomini di Dio del francese Xavier Beauvois, Il grande silenzio del tedesco Philip Gröning, Thérèse (dedicato a santa Teresa di Lisieux) di Alain Cavalier, altro francese, e La settima stanza dell’ungherese Màrta Mészàros. Quest’ultimo sulla tormentata esperienza e la tragica fine di Edith Stein, ebrea, atea, poi convertita alla religione cattolica e morta in un campo di sterminio nazista.

Enzo Natta
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