11/02/2013
Benedetto XVI nel 2009 rende omaggio alle spoglie di Celestino V.
Un fatto storico. Imprevisto ma non imprevedibile, almeno storicamente. Di dimissioni del papa si parlò quando la salute minata di Papa Giovanni Paolo II era diventata evidente al mondo, rendendogli difficile anche il parlare, cosa che non gli impedì di mantenere viva la comunicazione, per molti cifra storica del suo pontificato. Ma restarono voci senza seguito.
Per un po’ corse la voce che anche Paolo VI avesse in un cassetto, forse della mente, una lettera pronta. Quel che si sa, di certo, invece è che papa Montini era andato in un momento del suo pontificato a rendere omaggio a Celestino V, il più noto dei papi dimissionari, che abdicò nel dicembre del 1294. Era il papa cui Dante rivolse l’accusa di “viltade” per il celeberrimo “gran rifiuto”. Un giudizio che Paolo VI – in linea con la Chiesa contemporanea - di certo non condivideva e che anzi nel luogo della morte di San Celestino rendendogli omaggio in preghiera, il 1° settembre del 1966, confutava così: «San Celestino V, dopo pochi mesi, comprende che egli è ingannato da quelli che lo circondano, che profittano della Tua inesperienza per strappargli benefici. Ed ecco rifulgere la santità sulle manchevolezze umane: il Papa, come per dovere aveva accettato il Pontificato supremo, così, per dovere, vi rinuncia; non per viltà, come Dante scrisse - se le sue parole si riferiscono veramente a Celestino - ma per eroismo di virtù, per sentimento di dovere. E morì qui, segregato, perché altri non potesse profittare ancora della sua semplicità ed umiltà, e la morte non fu per lui la fine, ma il principio della gloria, oltre che nel paradiso, anche sulla terra».
Per trovare precedenti del gesto storico che oggi compie Benedetto XVI, invece, bisogna risalire indietro nei secoli, partire da Clemente I, nel I secolo d. C. e arrivare all'episodio più recente che risale al 1415, data del congedo di Papa Gregorio XII (1326-1417) che lasciò per mettere fine al cosiddetto Scisma d’Occidente. In mezzo una decina scarsa d'altri casi (Ponziano, Marcellino, Martino I, Benedetto V, Benedetto IX, Gregorio VI) perlopiù dimissioni non spontanee, piuttosto deposizioni, esilii, ritiri forzati. Al punto che a distanza di tanto tempo, di tanta storia, i paragoni sono forse addirittura antistorici.
Professor Giovagnoli, davvero queste dimissioni sono un fatto inedito,
se non altro per la distanza storica con i precedenti?
«Che siano un
inedito sono d’accordo, che sia un evento di portata storica dirompente
un po’ meno, se non altro perché avvengono in un quadro giuridico che le
prevede. Certo, è la prima volta che un papa si dimette da quando è prevista
dal codice canonico come istituto. E questa è la prima novità, che
risale alla Costituzione apostolica Universi dominici gregis. E infatti
il Papa ha dato le dimissioni esattamente nei tempi e nelle modalità richieste ed è
qualcosa di inedito rispetto alla storia precedente».
Di dimissioni si
parlò, quando le condizioni di salute di Giovanni Paolo II
peggiorarono, se ne parlò a proposito di Paolo VI. Quelle di Benedetto
XVI sono state un fulmine a ciel sereno, dal punto di vista di uno
storico?
«No, perché erano un tema già dibattuto nella Chiesa. Se ne
cominciò a parlare con Paolo VI, perché in quel momento veniva introdotto
il “pensionamento” dei vescovi al 75° anno di età e quindi ci si chiedeva
se per il Papa, in quanto vescovo di Roma, valesse in qualche modo un’analogia. Se n’è
parlato molto a proposito di Giovanni Paolo II perché le sue condizioni
di salute rendevano quell’ipotesi per certi plausibile. E infine se n’è discusso molto per Benedetto XVI perché lo stesso Benedetto XVI ne ha
parlato esplicitamente nell’intervista a Seewald qualche anno fa. A
domanda specifica del giornalista rispose che sì, le dimissioni del Papa
erano contemplate. Ne parlò, allora, in via del tutto teorica ma
piuttosto dettagliata. E questo rendeva plausibile ritenere che ci
stesse pensando. Detto questo la sorpresa è grande».
Sono dimissioni
imparagonabili con i precedenti storici solo perché c’è un istituto
giuridico a prevederle o ci sono altre ragioni?
«Certamente ci sono
contesti storici diversi, ma le due cose sono legate. Il fatto che
questo istituto sia oggi previsto, anche se è la prima volta che lo si
utilizza, è esattamente il segno che il contesto storico è mutato, a
cominciare dal fatto che la vita media si è allungata e che quindi non è
più improbabile avere al governo della Chiesa un papa che diventi molto
anziano. Il fatto che siano previste poi rende queste dimissioni non
traumatiche dal punto di vista dell’organismo ecclesiastico, anche se
poi magari sono soggettivamente traumatiche per ciascuno di noi. Mentre le dimissioni del passato sono sempre state traumatiche
perché venivano in momenti di conflitto della Chiesa, papi, antipapi,
papi deposti, abbiamo avuto contemporaneamente più persone che si sono autoproclamate
papa. E, invece, nell’intervista a Seewald Benedetto XVI escludeva
esplicitamente che un papa potesse dimettersi in momento di
conflitto, difficili per la Chiesa, perché diceva: “non si fugge nel
momento del pericolo”. E, infatti, a proposito delle proprie dimissioni
ha parlato di “utilità”, dell’esigenza di maggiori energie fisiche per la
Chiesa, che evidentemente ritiene non in pericolo né in conflitto,
ma bisognosa di un governo nella pienezza delle forze».
Al tempo dei
precedenti storici la Chiesa godeva ancora di un potere temporale,
quanto incide questo aspetto sulla portata storica di queste dimissioni?
«E’ chiaro che la perdita del potere temporale ha dissociato nettamente
la figura del papa dalla figura di un sovrano, questo fatto, che Paolo
VI definì provvidenziale, rende queste dimissioni diversissime da come
erano quando il papa era ancora un sovrano. Non solo, le rende molto limpidamente
motivate dalla coscienza, il Papa ha detto che questa decisione è stata
presa in solitudine».
Tra i precedenti storici il più celebre è quello di Celestino V, che cosa rappresenta per la Chiesa di oggi il suo "gran
rifiuto"?
«Parliamo di un eremita che ha prestato servizio come Papa e poi è
tornato alla preghiera, credo che sia Paolo VI sia Benedetto XVI
visitando la sua tomba abbiano sottolineato questo aspetto: il primato
della preghiera»
Elisa Chiari